PERCHE' NON SI DEVE FIRMARE L'ATTUALE TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership)!!!
Il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un trattato di libero
scambio che l'Unione Europea è chiamata
a concludere con gli Stati Uniti. Questa trattativa, con la scusa di
un'armonizzazione delle normative sul libero commercio, antepone il mercato e
gli interessi privati a quelli della collettività e apre ad una riduzione degli
standard sociali e ambientali. Le trattative sul TTIP si sono svolte finora a
porte chiuse: Parlamenti nazionali e cittadini non sono adeguatamente informati
su normative che potrebbero invece incidere sui loro diritti. Condividiamo la definizione perché, in realtà
questo trattato, che viene negoziato in segreto tra Commissione UE e Governo
USA, vuole costruire un blocco geopolitico offensivo nei confronti di Paesi
emergenti come Cina, India e Brasile creando un mercato interno tra noi e gli
Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità non verranno più
determinate dai nostri Governi e sistemi democratici, ma modellate da organismi
tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi
transnazionali.
Il Trattato
prevede l’introduzione di due organismi tecnici potenzialmente molto potenti e
fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini. Il primo,
un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute
Settlement – ISDS), consentirebbe alle imprese italiane o USA di citare gli
opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche
importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati,
presenti e futuri.
Non solo; le
vertenze non verrebbero giudicate da tribunali ordinari che ragionano in virtù
di tutta la normativa vigente, come è già possibile oggi, ma da un consesso
riservato di avvocati commerciali superspecializzati che giudicherebbero solo
sulla base del trattato stesso se uno Stato – magari introducendo una regola a
salvaguardia del clima, o della salute – sta creando un danno a un’impresa. Se
venisse trovato colpevole, quello stato o comune, o regione, potrebbe essere
costretto a ritirare il provvedimento o ad indennizzare l’impresa. Pensiamo ad
un caso come quello dell’Ilva a Taranto, o della diossina a Seveso, e
l’ingiustizia è servita. Un altro organismo di cui viene prevista l’introduzione è
il Regulatory Cooperation Council: un organo dove esperti nominati della
Commissione UE e del ministero USA competente valuterebbero l’impatto
commerciale di ogni marchio, regola, etichetta, ma anche contratto di lavoro o
standard di sicurezza operativi a livello nazionale, federale o europeo. A sua
discrezione sarebbero ascoltati imprese, sindacati e società civile. A sua
discrezione sarebbe valutato il rapporto costi/benefici di ogni misura e il
livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE da raggiungere, e quindi la
loro effettiva introduzione o mantenimento. Un’assurdità antidemocratica che va
bloccata, a mio avviso, il prima possibile.
Per
chi è allora vantaggioso il TTIP? Il ministero per lo Sviluppo
economico ha commissionato a Prometeia s.p.a. una prima valutazione d’impatto
mirata all’Italia, alla base di molte notizie di stampa e interrogazioni
parlamentari. Scorrendo dati e previsioni apprendiamo che i primi benefici delle
liberalizzazioni si manifesterebbero nell’arco di tre anni dall’entrata in
vigore dell’accordo: il 2018, al più presto. Il TTIP porterebbe, entro i tre
anni considerati, da un guadagno pari a zero in uno scenario cauto, ad uno +0,5%
di PIL in uno scenario ottimistico: 5,6 miliardi di euro e 30mila posti di
lavoro grazie a un +5% dell’export per il sistema moda, la meccanica per
trasporti, un po’ meno da cibi e bevande e da uno scarso +2% per prodotti
petroliferi, prodotti per costruzioni, beni di consumo e agricoltura.
L’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che le imprese italiane che
esportano sono oltre 210mila, Secondo l’ICE, in tutto nel 2012 le esportazioni
di beni e servizi dell’Italia sono cresciute in volume del 2,3%, leggermente al
di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul PIL ha sfiorato il 30% in
virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto
interno. L’Italia è dunque riuscita a rosicchiare spazi di mercato
internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna né
nuova occupazione. Quindi prima di chiudere i conti potremmo trovarci invasi da
prodotti USA a prezzi stracciati che porterebbero danni all’economia diffusa, e
soprattutto all’occupazione, molto più ingenti di questi presunti guadagni per i
soliti noti. Danni potenziali che né la ricerca condotta da Prometeia né il
nostro Governo al momento hanno quantificato o tenuto in
considerazione.
Nonostante l’enorme importanza della questione, il Parlamento
europeo non ha accesso a tutte le informazioni sul modo in cui si svolgono gli
incontri e sullo stato di avanzamento delle trattative.
Infatti il Parlamento, dopo aver votato nel 2013 il mandato a negoziare esclusivo alla Commissione, come richiede il Trattato di Lisbona, potrà soltanto porre dei quesiti circostanziati, cui la Commissione può rispondere ma nel rispetto della riservatezza obbligatoria in tutti i negoziati commerciali bilaterali, sempre secondo il Trattato, e poi avrà diritto di voto finale “prendi o lascia”, quando il negoziato sarà completato. Nel frattempo non ha diritto né di accesso né di intervento sul testo. I Governi stessi dell’Unione, se vorranno avere visione delle proposte USA, dovranno – a quanto sembra al momento – accedere a sale di sola lettura approntate nelle ambasciate USA (non si capisce se in quelle di tutti gli Stati UE o solo a Bruxelles, e non potranno nemmeno prendere appunti o farne copia. Un assurdo, considerata la tecnicità e complessità dei testi negoziali.
Infatti il Parlamento, dopo aver votato nel 2013 il mandato a negoziare esclusivo alla Commissione, come richiede il Trattato di Lisbona, potrà soltanto porre dei quesiti circostanziati, cui la Commissione può rispondere ma nel rispetto della riservatezza obbligatoria in tutti i negoziati commerciali bilaterali, sempre secondo il Trattato, e poi avrà diritto di voto finale “prendi o lascia”, quando il negoziato sarà completato. Nel frattempo non ha diritto né di accesso né di intervento sul testo. I Governi stessi dell’Unione, se vorranno avere visione delle proposte USA, dovranno – a quanto sembra al momento – accedere a sale di sola lettura approntate nelle ambasciate USA (non si capisce se in quelle di tutti gli Stati UE o solo a Bruxelles, e non potranno nemmeno prendere appunti o farne copia. Un assurdo, considerata la tecnicità e complessità dei testi negoziali.
Gli effetti
che potrà produrre l’accordo se verrà approvato nella sua forma attuale
riguardano. Tutti i settori di produzione e consumo come cibo, farmaci, energia,
chimica, ma anche i nostri diritti connessi all’accesso a servizi essenziali di
alto valore commerciale come la scuola, la sanità, l’acqua, previdenza e
pensioni, che sarebbero tutti esposti a ulteriori privatizzazioni e alla
potenziale acquisizione da parte delle imprese e dei gruppi economico-finanziari
più attrezzati, e dunque più competitivi. Senza pensare che misure protettive,
come i contratti di lavoro, misure di salvaguardia o protezione sociale o
ambientale, potrebbero essere spazzati via a patto di affidarsi allo studio
legale giusto e ben accreditato.
Tom
Jenkins della Confederazione sindacale europea (ETUC), nell’incontro con la
Commissione del 14 gennaio scorso, ha ricordato che gli Stati Uniti non hanno
ratificato diverse convenzioni e impegni internazionali ILO e ONU in materia di
diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. Questo rende, ad esempio, il loro
costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più
disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più
irresponsabile. A sorvegliare gli impatti ambientali e sociali del TTIP, ha
rassicurato la Commissione, come nei più recenti accordi di liberalizzazione
siglati dall’UE, ci sarà un apposito capitolo dedicato allo Sviluppo sostenibile
che metterà in piedi un meccanismo di monitoraggio specifico, partecipato da
sindacati e società civile d’ambo le regioni.
Un
meccanismo simile è entrato in vigore da meno di un anno tra UE e Korea, con la
quale l’Europa ha sottoscritto un trattato di liberalizzazione commerciale molto
simile anche strutturalmente al TTIP, facendo finta di non ricordare che come
gli USA la Korea si è sottratta a gran parte delle convenzioni ILO e ONU.
Imprese, sindacati e ONG che fanno parte dell’analogo organo creato per
monitorare la sostenibilità sociale e ambientale del trattato UE-Korea, hanno
protestato con la Commissione affinché avvii una procedura di infrazione contro
la Korea per comportamento antisindacale, e ancora aspettano una risposta
(http://goo.gl/82OLmh). Perché dovremmo pensare che gli USA, molto più potenti e
contrattualmente forti si dovrebbero piegare alle nostre esigenze, considerando
che sono tra i pochi Paesi che non si sono mai piegati a impegni obbligatori a
salvaguardia della salute, o dell’ambiente come il Protocollo di Kyoto appena
archiviato anche grazie alla loro ferma opposizione?
Il TTIP può avere degli impatti negativi sulla
salute dei cittadini europei. Faccio un solo
esempio, basato sulla storia. Nel 1988 l’UE ha vietato l’importazione di carni
bovine trattate con certi ormoni della crescita cancerogeni. Per questo è stata
obbligata a pagare a USA e Canada dal Tribunale delle dispute
dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) oltre 250 milioni di dollari
l’anno di sanzioni commerciali nonostante le evidenze scientifiche e le tante
vittime. Solo nel 2013 la ritorsione è finita quando l’Europa si è impegnata ad
acquistare dai due concorrenti carne di alta qualità fino a 48.200 tonnellate
l’anno, alla faccia del libero commercio. Sarà una coincidenza, ma in un
documento congiunto dell’ottobre 2012 BusinessEurope e US Chamber of Commerce,
le due più potenti lobby d’impresa delle due sponde dell’oceano, avevano chiesto
ai propri Governi proprio di avviare una “cooperazione sui meccanismi di
regolazione”, che consentisse alle imprese di contribuire alla loro stessa
stesura (http://goo.gl/HlqhTc).
Da
molti anni non solo movimenti, associazioni, reti sindacali ma anche istituzioni
internazionali come FAO e UNCTAD, le agenzie ONU che lavorano su Agricoltura,
Commercio e Sviluppo, richiamano l’attenzione sul fatto che rafforzare i mercati
locali, con programmazioni territoriali regionali e locali più attente basate su
quanto ci resta delle risorse essenziali alla vita e quanti bisogni essenziali
dobbiamo soddisfare per far vivere dignitosamente più abitanti della terra
possibili, potrebbe aiutarci ad uscire dalla crisi economica, ambientale, ma
soprattutto sociale che stiamo vivendo, prevedibilmente, da tanti anni. Stiamo
facendo finta di niente, continuando a percorrere strade, come quella della
iperliberalizzazione forzata stile TTIP, che fanno male non solo al pianeta e
alle comunità umane, ma allo stesso commercio che è in contrazione dal 2009 e
non si sta più espandendo. Da quando la piena occupazione europea e
statunitense, che con redditi veri e capienti sosteneva produzione e consumi
globali, sono diventate un miraggio, anche la crescita dei popolatissimi Paesi
emergenti, che hanno fatto la propria fortuna grazie alla commercializzazione
del loro capitale ambientale e umano a prezzi stracciati e ad alti costi
ambientali e sociali, non è riuscita più a sostenere il paradigma della crescita
infinita che si è rivelato per quello che era: falso e insensato. I poveri, che
crescono a vista d’occhio e devono lavorare oltre le 10 ore al giorno per un
pugno di spiccioli, consumano prodotti poveri e sempre meno; i ricchi, che sono
sempre più ricchi ma anche sempre meno, consumano tanto e malissimo, e non
creano benessere diffuso. Abbiamo la grande opportunità di voltare pagina, e di
tentare di dare a questo pianeta ancora un po’ di futuro, rimettendo al centro
della politica i beni comuni e i diritti. Col TTIP, al contrario, ci chiuderemo
le poche finestre di possibilità ancora aperte. Occorre quindi bocciare
l'attuale trattato, fermare questa deriva e diffondere tutte le alternative
possibili e più efficaci delle vecchie ricette fallimentari che continuiamo a
subire. Sacrificare i diritti dei cittadini e la tutela dell'ambiente in nome
del libero mercato vuol dire privatizzare i profitti e scaricare tutti i rischi
sulla collettività.
P.S.: avendo le
multinazionali americane trovato ostacoli europei a questo trattato, stanno
tentando di aggirarli con il "Il CETA", il Trattato di libero scambio
tra Unione Europea e Canada, che ha gli stessi contenuti del
TTIP.