La Turchia in Europa?

La Turchia è una società di 80 milioni di persone, vibrante di energia. Ha una classe imprenditoriale modernizzatrice, con infrastrutture solide e con un’agricoltura, un’industria e dei servizi turistici e aerei in pieno sviluppo. La crescita del suo Prodotto interno lordo (PIL) è da Paese asiatico. Tuttavia il deficit turco è raddoppiato negli ultimi 18 mesi. Il valore della lira turca è diminuito del 40 per cento nei confronti del dollaro; la disoccupazione è fissa al 13 per cento; gli investimenti in Siria sono per il momento perduti.
Il premier turco Erdogan gode attualmente di straordinario successo di popolarità non solo nel mondo arabo per la sua abile politica di sfruttamento delle debolezze delle grandi potenze, isolamento di Israele eterno capro espiatorio per i propri problemi insoluti, impotenza delle Nazioni Unite.
La storia naturalmente non si ripete ma l’ammonimento che troviamo nell’editoriale del New Herald Tribune di qualche settimana fa, è puntuale: “Erdogan ha diritto a chiedere un ruolo di leadership, ma deve farlo responsabilmente”.
Sul piano militare Ankara possiede il più grande esercito dell’Alleanza atlantica, ma non ha esperienza di guerra moderna avendo combattuto per l’ultima volta nel 1950 in Corea. Da anni le sue forze armate sono state in parte modernizzate da Israele e la lotta contro la ribellione curda è costosa e debilitante. Se la Turchia mettesse in pratica la minaccia di interrompere i rapporti con l’Europa qualora Questa permettesse a Cipro di assumerne la prossima presidenza dell’Unione europea, è chiaro chi sarebbe perdente, senza contare che il suo uso degli investimenti esteri è andato in gran parte ad acquisti di beni di consumo e ad alimentari e con una bolla edilizia favorita dalle banche.
La Turchia da satellite degli Stati Uniti potrebbe rimpiazzarli come potenza determinante nel Medio Oriente. Internamente il partito del premier Erdogan dispone di una maggioranza assoluta in Parlamento che non teme né la concorrenza della debole anche se vivace opposizione né, almeno per il momento, le ambizioni del suo storico e religioso (shiita) avversario iraniano.
Differente è la situazione nei confronti di Cipro. Anche se la minaccia di usare la forza, se il governo di Nicosia continuerà la ricerca delle sue ricchezze sottomarine di gas (col l’aiuto tecnico di Israele) sembra rientrata, l’isola fa parte dell’Unione europea. Ogni azione ostile contro di essa si ripercuoterebbe non solo sull’Europa ma in maniera diretta sulla Grecia (forse sarebbe persino un modo per questa di sottrarsi alla crisi finanziaria). Un aumento di ostilità turca contro Cipro riporterebbe soprattutto all’attenzione mondiale un fatto che la Turchia era quasi riuscita a fare dimenticare: l’occupazione militare di un terzo dell’isola dal 1974, con i massacri e l’espulsione della popolazione greca che l’accompagnarono e con l’importazione dall’Anatolia di coloni turchi.
La creazione di un governo turco cipriota resta illegale dal momento che nessun Paese del mondo, salvo la Turchia, lo ha riconosciuto. Di fronte a questa situazione l’occupazione israeliana della Cisgiordania, che tanto irrita il mondo arabo islamico, viene ridimensionata.

Può darsi che la Turchia un giorno possa entrare in Europa ma credo che i tempi non siano maturi per le tante ragioni che ho esposto e che sono parte della storia reale di questo Paese. E’ proprio il passato della Turchia che pesa sulla credibilità della stessa di essere un partner sincero ed affidabile. Il popolo turco ha ereditato l’orgoglio dell’islam di una religione unica e vera in assoluto alla quale ogni altra dovrà sottomettersi. La Turchia non è solo Ankara, moderna emancipata e laica, ma è anche la Turchia dei Paesi e dei villaggi dove la laicità è solo un nome e molte forme di fondamentalismo coesistono con il moderno. Ed è proprio il fondamentalismo, anche se ridotto, che fa la differenza. Neanche nei Paesi per eccellenza fondamentalisti sono accaduti due omicidi di prelati cattolici come in Turchia.

Anche l’Europa non può ritenersi pronta ad accogliere la Turchia. Non c’è ancora la federazione leggera di cui si parla e fare gli Stati Uniti d’Europa non significa stipare nazioni e popoli in una gabbia giusto per metterli insieme. Ce ne vuole di lavoro paziente ed instancabile e quando sarà fatto ci vorranno i cittadini europei che dovranno armonizzarsi nei fatti e negli ideali. Anche questo non è cosa semplice.

La Turchia, le cui radici islamiche rappresentano una diversità filosoficamente discutibile rispetto ad altre filosofie religiose, potrebbe rappresentare un faro di laicità realizzata a cui tutti gli altri popoli islamici ancora legati a vecchie tradizioni e leggi feudali possano fare riferimento per una reale modernizzazione e democratizzazione dei sistemi politici e di governo. Per questo la Turchia sarebbe più utile per il mondo medio orientale che per l’Europa, almeno per ora. Questa è stata ed è una delle ragioni per cui in molti vedono con timore l’immigrazione massiccia di islamici che non hanno potuto godere nel loro Paese di democrazia e laicità al punto che nella nostra Europa prolificano i fondamentalismi e le richieste di sistemi giuridici inaccettabili per noi che nella nostra evoluzione sociale, politica e culturale abbiamo superato. Purtroppo questi timori vanno confusi con la parola “razzismo” che viene abusata in ogni occasione e discussione.

L’Europa non deve sottomettersi alla volontà della Turchia e deve lasciare che la presidenza a Cipro sia da questa esercitata, quando verrà il suo turno. Accettare o spaventarsi per le minacce turche significherebbe far morire lentamente l’Europa.

Il 40 per cento del mondo turco, soprattutto sul versante storicamente più influenzato dalla laicità, continua ad essere assolutamente filo europeo. Se non aiutiamo la componente culturalmente progressista e laica della Turchia la situazione potrebbe diventare addirittura pericolosa. I processi di ri-nazionalizzazione, sia pure senza il peso militare, si stanno trasformando in una rinascita dove il peso del mondo petrolifero arabo ha un ruolo sempre più rilevante. Accettare l'ingresso della Turchia, a questo punto, fermo restando che non potrebbe e non dovrebbe superare la quota di parlamentari dei primi tre Paesi fondatori è un rischio che possiamo correre solo in futuro, tenendo conto che la cornice europea può fare maturare una classe dirigente che esiste, ma si sente ferita dall'incomprensione europea.

Ho sempre davanti agli occhi cosa è accaduto durante la secessione della Bosnia Erzegovina. Durante i miei viaggi di lavoro a Sarajevo, fino al 1991 i suoi abitanti mi accettavano in casa e nei loro uffici senza alcuna particolare usanza religiosa o alimentare; in quella città si respirava un’aria più europea che di Paese balcanico. All’improvviso dal 1995, come spettri si aggiravano per Sarajevo decine di donne con il chador nero integrale. Se ci fosse la Costituzione Europea tutto sarebbe diverso, ma ancora non c’è. C'è chi vuole l'ingresso della Turchia in Europa solo per fare affari e non sempre puliti, ma questo è un problema globale dei rapporti fra Occidente e Oriente. Di recente la Turchia ha rotto con Israele e questa decisione non è solo tattica; occorre attendere fino a quando la Turchia tutta non avrà accettato pienamente che la cultura di quel 40% di popolazione turca più europea non ha acquisito più peso di quella parte islamica.

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