Gli egoismi nazionali e l'avvenire dell'Europa

Da Schuman in poi, per 60 anni l’unificazione europea è stata associata, nella mente e nel cuore degli uomini e delle donne del nostro continente, non solo all’idea della pacificazione, ma anche a quella del progresso civile, sociale e materiale. Ora, in questi anni di crisi finanziaria ed economica, stiamo correndo il serio rischio che l’idea di Europa perda questo segno distintivo e trascolori fino al punto di assumere il volto di una ‘matrigna’ che non si cura allo stesso modo di tutti i suoi figli.

I governi nazionali hanno solo aggravato la situazione nell’eurozona. Il loro rifiuto di far emettere dall’Unione titoli europei di debito a parziale sostituzione di quelli nazionali (cosa che ne avrebbe garantito la massima solvibilità) ha indotto i mercati, e la speculazione che ne segue sempre l’onda, a pretendere rendimenti sempre crescenti per la sottoscrizione dei titoli dei Paesi in difficoltà. L'Italia è uno di essi ed ormai lo "spread" è diventato il nostro pane quotidiano. E ciò ha finito per far aumentare il costo del servizio di debito, prospettare misure crescenti di tagli della spesa da immolare sull’altare del dio ‘mercato’ ed innescare una recessione economica che mette a rischio la coesione sociale. L’Europa di oggi sta imponendo al popolo greco una serie di misure assai pesanti: licenziamenti, riduzioni degli stipendi nel pubblico impiego e delle pensioni minime. L’idea comune è che ciò sia necessario per diminuire drasticamente il deficit corrente ed il debito pubblico consolidato, condizione essenziale per ottenere gli aiuti della UE, dalla BCE e del FMI e rimanere così nell’euro. Ed ancora, altri pensano che queste condizioni-capestro siano, a loro volta, il frutto di una ideologia ‘liberista’. Proprio in Grecia, là dove più lontanamente affonda l’origine della civiltà europea, si gioca questa partita. Chi segue gli avvenimenti economici e le sorti di altri Paesi, come quelli dell'Africa, sa quanto siano stati deleteri le cure da cavallo imposte dal FMI a quei Paesi dell'Africa in cui esso è intervenuto. Le stesse che oggi la troika composta dallo stesso FMI, Europa (di Merkel e Sarkozy) e BCE, ha imposto alla Grecia.

Queste condizioni-capestro sono la conseguenza del fatto che, dopo tre anni di crisi, i governi (in primis la Germania della Merkel e la Francia di Sarkozy) non vogliono ancora rinunciare alla sovranità nazionale sul ‘proprio’ bilancio. E pretendono che siano solo quelli in difficoltà a doverlo fare, anche con l’imposizione della forza e lo spauracchio del ‘mercato’, usato come alibi per mascherare la loro pervicace volontà di tenersi ben stretta una pseudo-sovranità sulla spesa pubblica, fonte reale del consenso politico interno condizionato dalle prossime elezioni politiche.

I governi nazionali non si rendono conto che stanno distruggendo, nel cuore e nella mente degli europei, il bene più prezioso che è stato costruito dal dopoguerra ad oggi in questa zona del mondo: quello della pace e della coesione sociale. Questo ‘bene prezioso’ cominciò ad essere eroso quando due governi nazionali, cioè Francia e Olanda, (facendo anche leva sullo spauracchio verso gli idraulici polacchi che avrebbero portato via lavoro), decisero di affossare la Costituzione europea. Non a caso colpirono i simboli di quella che poteva diventare, nei fatti, una Unione di tipo ‘costituzionale’. Infatti, con ben altro spirito e volontà politica sarebbe stata affrontata la crisi finanziaria se ci fosse stata quella Costituzione, pur così tanto criticata all’epoca!

Ad Atene si rischia di perdere il significato profondo di quel progetto di 60 anni fa. Perché ciò non accada occorre che la logica intergovernativa che ha retto finora l’Unione (e l’Eurozona) venga sconfitta. Questa logica si esprime al massimo livello nel Consiglio europeo dove si decide in base ai rapporti di forza tra gli Stati. Con questa stessa logica intergovernativa Francia e Germania vorrebbero costruire il ‘governo economico europeo’, a partire dal nuovo Trattato, quello sul ‘patto di bilancio’ (fiscal compact), ponendolo nelle mani del Consiglio, cioè di loro stessi.

Occorre invece battersi perché si affermi una vera Unione fiscale, gestita dalla Commissione, responsabile davanti al Parlamento, in cui il debito nazionale venga emesso nella forma di eurobond, con garanzia comune degli Stati dell’Eurozona, la quale diventerebbe così il titolare dei debiti sovrani dei 17 Paesi che ne fanno parte. Inoltre una tassazione sulle transazioni finanziarie darebbe le risorse necessarie agli investimenti per l'innovazione.

L’effetto immediato sarebbe la fine della crisi greca (e delle possibili altre) e la nascita di un governo economico. E va da sé che l’elezione del 2014 potrebbe costituire, se i partiti lo vorranno, il banco di prova della legittimazione democratica di questo "governo". A tal fine sarebbe auspicabile parallelamente un’iniziativa del Parlamento europeo volta a chiedere una Convenzione per riformare le istituzioni e disegnare le forme di un governo che nasca dal voto dei cittadini europei e che sia responsabile della politica estera, della difesa e dell’economia. E’ questa la battaglia che i popoli europei devono fare, per salvare la Grecia e gli altri Paesi in difficoltà e far progredire il ‘progetto europeo’.

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