E' tempo di reintrodurre il reato di falso in bilancio!

Ci si lamenta spesso della scarsa propensione da parte delle società e dei privati, stranieri e nostrani a investire in Italia, elencando fra le cause di questo fenomeno rilevante per l'economia del nostro Paese, varie motivazioni fra le quali: l'articolo 18, la rigidità del lavoro, la burocrazia, ecc., omettendo o dimenticandosi di una delle cause più importanti e cioè la quasi totale assenza di garanzie per gli investitori, in materia societaria. Infatti tra le novità introdotte all'originario disegno di legge-delega per la riforma del diritto societario dal governo Berlusconi e dalla maggioranza parlamentare eletta il 13 maggio del 2001, c'è quella relativa al reato di falso in bilancio, che di fatto è stato depenalizzato.

L'art.18 torna a far parlare di se, come se fosse la causa di tutti i mali del mondo del lavoro. Una fantastica arma di "distrazione" di massa, che di fatto riguarda solo singoli individui, in quelle realtà aziendali con più di 15 dipendenti, quindi principalmente dove il contatto interpersonale non è tra lavoratore e padrone ma tra lavoratore e capi intermedi e nulla ha a che fare con il problema che tanto si proclama e cioè che è causa principale della mancanza di investimenti stranieri nel nostro Paese. Le lungaggini processuali hanno portato all'esasperazione pochi e singoli casi di prevaricanti e ingiustificati licenziamenti e relativa reintegrazione in azienda, del lavoratore; peccato che la demagogia ancora dilagante in parlamento, abbia cancellato, proprio ieri, l'istituzione del "tribunale del lavoro" che avrebbe creato una corsia preferenziale e sarebbe stata una buona soluzione per redimere celermente questo tipo di controversie. Purtroppo alla stregua della "monotonia del posto fisso" adesso c'è anche una sorprendente "opinione" relativa all'art.18 che "allontana gli investimenti", presente come un chiodo fisso anche nella mente di Coloro che sono stati indicati "sobri"; un tale "giudizio", così espresso, rende quindi l'art.18, la causa più incisiva e determinante di assenza di investimenti, di quanto non possa essere la legge che ha cancellato il "reato di falso in bilancio"! Quali lungimiranti e coraggiosi investitori stranieri si avventurerebbero a investire in un'azienda per la quale si ha la certezza che "i falsi in bilancio" non sono perseguiti?

Originariamente intenzione del legislatore era quella di lasciare inalterata la gravità del reato in considerazione della sua rilevanza sociale, mantenendo la pena nell'ambito della reclusione da 1 a 5 anni, salva una maggiore puntualizzazione della fattispecie punite. In particolare si era inteso specificare che il reato era punibile nel caso in cui i suoi autori avessero intenzionalmente perseguito lo scopo di conseguire per se o per altri un ingiusto profitto (c.d. dolo specifico), mentre nel testo vigente era sufficiente la generica volontà di esporre fatti non corrispondenti al vero della vita della società.

Chiunque abbia esperienza della realtà economica delle società di capitali ha perfettamente presente che il danno conseguente alle false comunicazioni sociali si manifesta soltanto nel corso degli esercizi successivi, e molto spesso, pur sussistendo, si rivela di difficilissima dimostrazione, se non a seguito di lunghe e costosissime indagini peritali.

Con le nuove norme introdotte dal governo Berlusconi, in considerazione dei ristrettissimi termini di prescrizione, indirettamente, determinati dalla riforma e della previsione di una querela come condizione di procedibilità, non è azzardato concludere che di fatto si è proceduto ad una sostanziale depenalizzazione dei reati societari, in contrasto con l'orientamento comunitario che impone un maggiore rigore per garantire la verità dei bilanci e quindi la sicurezza del sistema economico.

Se si aggiunge che per i casi in cui è prevista la condizione di procedibilità della querela non si comprende quali amministratori provvederanno a presentarla nel termine di 90 giorni prescritto dal codice di rito, ben si comprende che il legislatore del 2001 ha sostanzialmente estratto dall'area della sfera penale le condotte fraudolente degli amministratori di società. Infatti è abbastanza arduo ritenere che gli stessi autori del reato si autodenunciano, ed anche nel caso di cambio al vertice della società, i nuovi amministratori potranno proporre querela soltanto quando avranno scoperto la frode dei loro predecessori, dunque diversi anni dopo dal giorno in cui il reato è stato commesso, con conseguente approssimarsi del termine per la sua prescrizione.

Come se ciò non bastasse si è inteso modificare anche la parte dei reati fallimentari In tal modo si passa da una punibilità per le condotte che siano idonee, insieme ad altre cause, al provocare lo stato di insolvenza, alla ipotesi in cui la pena si applica solo nel caso di prova dell'effettiva sussistenza del rapporto di causa ed effetto tra il comportamento fraudolento degli amministratori ed il dissesto della società amministrata.

E' stato così ridotto l'ambito di applicazione delle norme penali in materia economica, con buona pace per il controllo, nell'interesse pubblico, delle attività imprenditoriali, ma è giunto il tempo di rimettere le mani all'attuale legge, per ripristinare questo reato e ridare così credibilità al "sistema Italia" e garanzie agli investitori. Quindi per concludere, l'unica eventuale modifica all'art.18, potrebbe riguardare la sua non applicabilità in casi molto specifici di aziende in crisi, smettendola di inseguire fantasmi.

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