Perchè i mercati non premiano la politica ultra-liberista del premier Monti?

Ad oggi, in Italia ogni provvedimento preso da questo governo ha finito per aumentare la forbice tra i pochi che stanno bene e i molti che stanno male. Si favoriscono gli scudati e si fa pagare il conto agli esodati. La revisione della spesa e i tagli conseguenti erano e sono necessari ma i criteri da utilizzare dovevano essere diversi. Occorre più tempo per individuare le aree degli sprechi ma non si può fare di tutta l'erba un fascio, tagliando linearmente; questo approccio anzichè portare a un risparmio potrebbe fare aumentare l'inefficienza della pubblica amministrazione e i suoi costi e a generare ulteriori ingiustizie. Un premier che addebita questa situazione alla concertazione dà una visione distorta della realtà. L'ultima concertazione risale al 1993 e a quei tempi, chi ha buona memoria ricorderà che c'è stato un contributo propositivo e positivo di tutte le parti sociali che ci ha salvato dalla bancarotta. Corsi e ricorsi della storia. La riforma delle pensioni era stata fatta anche allora con più equità ed equilibrio. In Francia il socialista Francois Hollande, solo qualche giorno fa, ha annunciato l'intenzione di inserire nella Costituzione della Quinta Repubblica proprio la concertazione, ispirandosi al modello della cogestione tedesca. Il dialogo ha sempre dato forza alle idee e alle proposte e la pace sociale è un bene prezioso che si conquista con la concertazione ma il professore, dopo otto mesi di governo, è passato alla disciplina del "karate".
Una politica  equilibrata, che distribuisce in modo equo i sacrifici, per l'occupazione e l'economia è quella del nuovo presidente francese, che ha aumentato il salario minimo del 2%, ha abbassato la soglia per le pensioni di anzianità a 60 anni. Inoltre Hollande ha annunciato un’aliquota sui redditi dei ricchi al 75%, (noi abbiamo premiato gli evasori con lo scudo fiscale che ha fatto pagare solo il 5% - governo precedente), una tassa sui dividendi del 3% e sulle scorte petrolifere del 4%. Ha assicurato che aumenterà i contributi, già altissimi, e l’imposta di successione e che recupererà la vecchia patrimoniale. Infine, ha promesso 65mila assunzioni nel settore pubblico. che portano ad una crescita della domanda dei consumi ed a un aumento del PIL.  Nella dottrina Keynesiana, il governo  o, più in generale, il settore pubblico ha la possibilità di incrementare la domanda aggregata, tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi, fattore esogeno e finalizzato all'aumento di occupazione. Ciò potrebbe essere finanziato anche tramite politiche di deficit di bilancio; l'indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenterà il tasso di interesse al punto di scoraggiare l'investimento privato. Ma abbiamo il vincolo del pareggio di bilancio entro il 2013 che ignora queste comprovate efficaci regole. Insomma, per i fautori del libero mercato e delle riforme strutturali, François Hollande è un eretico, convinto sostenitore delle regole di Keynes. Quì non si vuole mettere in discussione la necessità di mettere ordine nei conti pubblici e della necessità inderogabile di fare riforme strutturali. Da questo punto di vista gli sforzi del governo sarebbero da apprezzare se non ci fosse di mezzo il problema della mancanza di un'equa distribuzione dei sacrifici e una più equilibrata redistribuzione della ricchezza che finora è mancata e che deprime la domanda di beni e servizi, facendo aumentare la disoccupazione. Sinteticamente si direbbe che a pagare il conto sono sempre gli stessi. 
 
Inoltre perchè i mercati premiano la politica francese di tipo Keynesiano e non quella dell'ultra-liberista Monti? Qual'è il problema in tutto questo?

La risposta che si può dare è che la politica del rigore ha anche bisogno di una seria politica per la "crescita". Non basta tagliare e ottimizzare la spesa, eliminando le storture e gli sprechi che caratterizzano il funzionamento della pubblica amministrazione, ma occorre anche investire per lo sviluppo. Altrimenti un PIL in diminuzione e un debito pubblico in crescita, con uno spread che rimane alto (sui 460-470 punti), ci porteranno ad un avvitamento da cui sarà molto difficile uscirne. Tutto ciò dovrebbero saperlo bene i bocconiani che sono al governo, i Quali insistono solo sul rigore e sono assenti o nelle migliori delle ipotesi in grave ritardo sugli investimenti per lo sviluppo, la crescita e la creazione di nuova occupazione.
 
Non più tardi di lunedì scorso i rendimenti sui titoli di Stato francesi a tre e a sei mesi, per la prima volta nella storia, sono stati negativi. Segno che il mercato pensa che la Francia somigli molto più alla Germania che alle sprecone Italia o Spagna. Segno che la “rossa” Parigi è diventato un porto sicuro, alla pari dei Paesi “falchi” guidati da austeri conservatori alla Merkel (i governi di Olanda e Finlandia) che anelano allo zero deficit come alla panacea di tutti i mali.

Certo, anche Hollande si è impegnato sul rigore. I numeri però sono numeri. Nel primo trimestre dell’anno il debito è salito all’89,3% del PIL e il deficit veleggia a fine anno verso il 4,5%. Il premier Jean-Marc Ayrault si è impegnato a ridurlo sotto il 3% l’anno prossimo e di azzerarlo quello dopo. Ma anche le stime sul PIL sono state riviste allo 0,4% quest’anno e all’1-1,3% per l’anno prossimo. E Hollande non ci pensa neanche, per dire, a rimandarsi le assunzioni nel pubblico o a toccare la legge sui licenziamenti come gli chiedono in molti. Nell'anno in corso all'Italia toccherà un meno 2,4 di PIL nella migliore delle ipotesi.

Gli analisti, ovvio, avvertono che bisogna guardare ai rendimenti dei bond decennali e non a quelli a brevissimo termine. E che nei prossimi mesi sono destinati a risentire "dell’effetto Hollande", se non farà anche riforme strutturali. Però lo spread francese, intanto, è inchiodato a 110 punti, a distanze incolmabili dal nostro. Con tutto che in Francia, negli ultimi 5 anni sono spariti 400mila posti nel manifatturiero e il PIL pro capite è sceso negli ultimi 10 dal 95 al 90% di quello tedesco. E con tutto che una settimana fa i maggiori economisti e imprenditori hanno chiesto allarmati uno "shock per il rilancio della competitività", che è un noto punto debole dell’economia francese. Ciò nonostante, l'apprezzamento dei mercati alla politica del  "socialista" Hollande persiste.
Se la cancelliera Merkel afferma che c'è da imparare dall'Italia, a noi non farebbe male imparare qualcosa dalla Francia di Hollande e il percorso di guerra durissimo intrapreso dall'Italia che non è ancora finito, (affermazione del premier Monti durante il suo intervento all'ABI), potrà essere in parte evitato anche (mi ripeto fino alla noia ma è necessario), rinunciando all'acquisto dei 101 caccia F35 (erano 131 e nella mia precedente mail avevo ipotizzato di comprarne solo 70)  che ci farebbero risparmiare nel corso degli anni ben 12 miliardi di euro, (ogni caccia costa 120 milioni, altri dicono 200 milioni) A sentire l'affermazione che "siamo ancora in emergenza", vuol dire che siano ancora in mezzo al guado e allora "a estremi mali, estremi rimedi!". I 12 miliardi sarebbero utili per evitare di aumentare l'IVA, problema rinviato al prossimo anno (6 miliardi) e a coprire il buco da 6 miliardi che l'INPDAP ha portato in dote all'INPS. In un momento di crisi, mentre vengono tagliate le spese sociali, bisognerebbe pensarci tre volte prima di buttarsi "anima e corpo" nello sviluppo di un'industria delle armi;  e poi quanto costerà mantenere questi aerei? Diranno che questa spesa darà lavoro allo stabilimento di Cameri (NO) e secondo certe affermazioni del ministro della difesa, ci sono in gioco 10.000 posti di lavoro. Ogni posto di lavoro costerebbe quindi 1,2 milioni di euro, Una somma spropositata e fuori da ogni logica, se si considera che il presidente Obama per il "jobs plan" del 2011, ha speso 300 miliardi di dollari per creare 1.900.000 posti di lavoro, cioè ben 9 volte in meno.
 
Intanto dobbiamo fare i conti con lo "spread" e Moody's, infischiandosene dei nostri sacrifici, potrà continuare a giocare allo sfascio fintanto che si darà peso ai loro insensati e infondati declassamenti e finchè Qualcuno non li porterà in tribunale e non saranno condannati per turbativa dei mercati.  Ma è ormai previsto che la zona dell'euro avrà un meccanismo per fermare la febbre degli spread ed aiutare i Paesi virtuosi che ne faranno richiesta a tenere sotto controllo il differenziale dei rendimenti. Nella prima riunione, dopo la decisione del Vertice di fine giugno, l'Eurogruppo ha riaffermato "il proprio forte impegno a fare tutto ciò che è necessario per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro, in particolare attraverso un uso flessibile ed efficiente del fondo Efsf-Esm". E come primo passo concreto in questa direzione il fondo salva stati e la BCE hanno firmato "un accordo tecnico" che prevede che l'istituto di Francoforte sia l'agente dell'Efsf-Esm per l'acquisto dei bond sul mercato secondario, in funzione anti spread. Nonostante le resistenze della Finlandia, le reticenze dell'Olanda e i dubbi della Germania, l'eurozona si muove con decisione verso misure a breve per stabilizzare i mercati, oltre che verso la creazione in tempo medio lunghi di un'unione bancaria e fiscale. "La BCE potrà intervenire sui mercati secondari a nome e per conto dell'Efsf", ha spiegato l'AD del fondo, il tedesco Klaus Regling. Ciò significa che il bilancio della BCE non verrà intaccato e i rischi e benefici saranno in conto del fondo. Tutto ciò avverrebbe nel mercato secondario; "di mercato primario non si è parlato, ma è una possibilità che esiste, già prevista sia "dall'Efsf che dall'Esm".

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