EUROPA: dal vertice di Bruxelles, un passo avanti verso l'integrazione europea?

Anche la cancelliera Merkel è molto condizionata dal ritorno alle urne nel suo Paese e così anziché spingere lo sguardo oltre la "siepe del rigore", pensa a un super commissario che controlla i bilanci degli Stati. Ma a questa sua proposta, fatta  al vertice dei capi di Stato a Bruxelles, ha subito risposto il presidente Holland, appoggiato dal premier Monti,  con un "No grazie"!
Alla fine, messa da parte questa proposta è stato raggiunto l'accordo per la vigilanza di tutte le banche europee da parte della BCE, che però andrà a regime solo fra un anno ed esattamente dopo le elezioni in Germania. Altra iniziativa che avrà il suo impatto sui mercati è la decisione della ricapitalizzazione delle banche da parte del fondo salva Stati (ESM).
 
Ma la crisi del debito e la recessione incalzano, la Grecia fa paura, l'Europa deve uscire dal guado e la sfida era e rimane la crescita, perché il rigore, da solo, non basta. La sfida sul tavolo dei 27 a Bruxelles è stata tutt'altro che facile, resa ancor più complicata dai tanti distinguo e divisioni. Abbiamo una zona euro che ha un patrimonio, la moneta unica, e richiede un nuovo governo. Questa zona euro deve prendere una dimensione politica. Sarebbe positivo che l'Eurogruppo, che riunisce i ministri delle Finanze, sia rinforzato e che il suo presidente si veda affidare un mandato chiaro e sufficientemente lungo; meglio se fosse nominato un ministro delle finanze e dell'economia.   
Per rilanciare la crescita nei Paesi periferici dell'eurozona in difficoltà, come la Grecia, dovrebbero essere introdotti dei regimi fiscali speciali e delle semplificazioni burocratiche particolarmente attraenti per gli investitori stranieri che intendono rivolgersi a quei Paesi. E' questa una delle idee guida di un piano in sei punti che il governo tedesco avrebbe già elaborato per affiancare alla politica del rigore quella in favore della crescita, come chiedono ormai molte capitali europee. Il piano, prevede anche una significativa riforma del mercato del lavoro, naturalmente sul modello tedesco. 
 
La svolta del governo di Angela Merkel sarebbe stata "accelerata" non solo dalle pressioni di Parigi e Roma, oltre che di Washington, ma anche da segnali interni: il leader socialdemocratico, Frank-Walter Steinmeier, aveva detto chiaramente alla coalizione conservatrice al governo che l'opposizione non avrebbe votato a favore della ratificazione del Fiscal compact, se alle misure di rigore non sarebbero state affiancate anche quelle per la crescita. Per l'approvazione del patto fiscale europeo, legge di rilevanza costituzionale in Germania, è necessaria la maggioranza di due terzi al Bundestag e al Bundesrat e il parlamento tedesco in seduta plenaria l'ha approvato, con una maggioranza di due terzi. Il fiscal compact aveva ottenuto 491 sì, mentre i voti contrari sono stati 111. Sei deputati si sono astenuti.  Il Bundestag ha approvato anche il meccanismo di stabilità europeo ESM, anch'esso con i due terzi della maggioranza. Hanno votato a favore 493 parlamentari, 106 hanno votato contro, cinque si sono astenuti, ma un cambiamento di direzione della politica di rigore voluta finora dalla Merkel e condivisa da altri leader, come in nostro premier Monti, non è ancora avvenuto. Anche il presidente Napolitano ha dovuto intervenire sul problema, invocando una politica economica di sviluppo, anche con l'intervento dello Stato.  Sulla validità della dottrina keynesiana in tempo di crisi e di rilancio della crescita, ignorata da questo governo, mi sono soffermato più volte nelle miei precedenti mail, pertanto posso solo cortesemente invitarvi a una loro rilettura.
 
"Senza un avvio della tassazione dei mercati finanziari, senza un rafforzamento degli investimenti e senza un ampliamento del volume di credito della BEI (Banca europea degli investimenti) la SPD non avrebbe sostenuto il governo", aveva detto Steinmeier allo Spiegel: "Vi garantisco che il patto fiscale ci sarà solo con elementi complementari in favore della crescita e se questi non ci saranno non ci sarà neppure il sì della SPD". Anche il ministro degli Esteri tedeschi, Guido Westerwelle aveva detto che la Germania avrebbe proposto un piano articolato in sei punti, per rilanciare la crescita in Europa, fra queste il finanziamento di grandi progetti infrastrutturali grazie a "strumenti innovativi", che potrebbero essere i "project bond", anche se  questo termine non è stato pronunciato, ma finora la Cancelliera prosegue per la sua strada; purtroppo anche a Lei manca lungimiranza e una visione globale della politica a favore dell'Europa e dell'avvenire della stessa Germania.
 
Se l'euro andasse a picco, avrebbe conseguenze inimmaginabili sull'intera economia mondiale, ma i leader europei  ancora una volta sono incapaci di trovare una soluzione alla crisi. L'analisi del New York Times riassume bene la delusione del presidente americano Barack Obama, che aveva esortato l'Europa a voltare pagina, varando misure immediate per favorire la ripresa economica. Invece siamo quì a chiederci se questo vertice è stato un "fallimento. "L'incontro ha prodotto solo qualche decisione che riguarda le banche; i Leader UE non sono riusciti a fare alcun passo significativo" sul fronte della crescita, ma solo un  "piccolo passo avanti" che non fermerà la fuga dei capitali dall'Italia e dalla Spagna; nell'utimo anno l’uscita di capitali è stata di 235 miliardi  dall'Italia, il 15% del PIL del 2011 e dalla Spagna di 296 miliardi, equivalente al 27% del PIL. Il fenomeno è stato particolarmente diffuso in Spagna, dove il downgrade del debito sovrano è stato seguito da quello delle aziende.
Una conferma dei rischi per l’Eurozona arriva anche dal presidente della Bce, Mario Draghi, secondo cui però esistono anche ”motivi di fiducia” e sottolineando come ”la rivitalizzazione del credito sia cruciale per la ripresa dal nostro Paese. 
Insomma, la preoccupazione rimane ed è forte. "E' tempo di occuparsi dell'economia e della sua piena ripresa", perchè la crisi in Europa rappresenta "un ostacolo" su quella che appare come la strada obbligata da percorrere. Si tratta di una situazione "insostenibile", e gli europei hanno ancora molto lavoro da fare; la crescita dell'economia e dell'occupazione è la questione principale su cui i leader europei avrebbero dovuto puntare, e per il momento le speranze riposte sui nuovi leader come il presidente francese François Hollande o il premier italiano Mario Monti sembrano essere sopraffatte dalle solite divisioni tra i 27.  Mentre l'appartenenza della Grecia all'euro vacilla e le paure di un'insolvenza delle banche aumentano, i leader europei tergiversano su cosa fare e la crisi dell'euro sta ancora una volta minacciando la fragile crescita globale. L'urgenza per una soluzione della crisi del debito nell'Eurozona, ora al suo quarto anno, non è mai stata così grande e il tanto sospirato "decreto legge anticorruzione", che avrebbe dovuto rimuovere gli ostacoli che oggi impediscono ai capitali stranieri di fare rotta verso le imprese italiane, non è soddisfacente ed è incompleto ed è stato giudicato del tutto inadeguato e regressivo dallo stesso CSM (consiglio superiore della magistratura). Inoltre certe gravi lacune, dal ripristino del reato di falso in bilancio, al divieto di mettere in lista alle elezioni i condannati,  modifica della ex Cirielli relativa alla prescrizione, all'autoriciclaggio,  che è stato inserito persino nella lista dei reati in Vaticano, il voto di scambio, non previsto,.......danno la misura  della contrapposizione che distingue le forze politiche dell'attuale anomala maggioranza; da una parte PDL e UDC, che frenano ogni utile iniziativa nella giusta direzione  e dall'altra il PD, che propone emendamenti utili a riguardo, ma che loro respingono. Da questa situazione si potrà uscire solo con il ritorno della "Politica"  alla guida del Paese!
 

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