La nuova avventura ungherese.

Di fronte alla deriva autoritaria e nazionalista del governo di Viktor Orbán l’Europa non può rimanere indifferente. Una comunità di valori democratici condivisi ha l’obbligo di intervenire per tutelarli.
Come per uscire da un incubo terribile, gli ungheresi finalmente  si sono svegliati. Lo spettacolo di decine di migliaia di ungheresi che hanno sfilato per le vie di Budapest contro l’entrata in vigore di una Costituzione che reputano antidemocratica rappresenta un serio monito per il primo ministro Viktor Orbán. Mai prima d’ora  l’opposizione era riuscita a portare in piazza abbastanza gente da farsi ascoltare, ma adesso c’è riuscita.
C’è stata un’altra iniziativa degna di nota: tredici ex dissidenti ungheresi, alcuni dei quali furono con lo stesso Orbán i protagonisti della lotta contro il regime comunista, hanno firmato un appello nel quale fanno presente che “la società ungherese non è vittima solo  della crisi economica, ma anche del suo stesso governo”. Insieme agli  altri, lo scrittore Gyorgy Konràd, l’ex dissidente Làszlò Rajk e l’ex
sindaco di Budapest Gàbor Demszky denunciano che “il governo si è  impossessato degli strumenti della democrazia, privandone quanti  avrebbero potuto utilizzarli per porre rimedio ai loro problemi”. I  firmatari dell’appello hanno quindi dato il via a una petizione che hanno presentato alle istituzioni europee.
L’Unione europea si trova in una situazione delicata nei confronti di questo piccolo Paese diventato membro dell’UE da nove anni: non può  restare indifferente ai metodi di governo di Orbàn, agli attacchi al  pluralismo dei media e alle minacce all’indipendenza dell’apparato  giudiziario, e nel 2010 aveva già protestato in modo energico. Alla fine di dicembre il presidente della Commissione europea Josè Manuel  Barroso ha inviato a Orbàn una lettera,  per metterlo in guardia dai rischi della sua politica. Tale  avvertimento non pare però aver sortito l’effetto sperato. All’UE resta ancora la possibilità di ricorrere all’articolo 7 del trattato di Lisbona, che prevede di togliere il diritto di voto agli Stati membri che violano le regole democratiche.
Non è facile, in ogni caso, punire un governo democraticamente  eletto, e il precedente dell’Austria ha lasciato un amaro ricordo a  Bruxelles: nel 2000 l’Unione aveva reagito duramente all’ingresso nel governo di un partito di estrema destra, ma aveva rinunciato a  intervenire una volta preso atto dell’inefficacia delle sue proteste. La mobilitazione dell’opposizione ungherese, della società civile e degli intellettuali è un segnale importante che legittima le pressioni  esercitate dall’UE, che ambisce a essere una comunità dai valori  democratici condivisi.
Una nube cupa avvolge l’Ungheria e la travolge con un duro bavaglio agli organi di informazione, una sostanziale abolizione delle garanzie costituzionali, limitazione ai diritti civili, politici e di espressione, azzeramento del potere di controllo della Corte; il tutto condito da politiche di discriminazione, da una atteggiamento verso le comunità religiose che pare destinato ad un antisemitismo di Stato e da un nazionalismo pseudomilitarista forzato e muscolare.
Al Parlamento ungherese il partito “Fidesz, Unione Civica Ungherese” del Primo Ministro Viktor Orbàn si è reso protagonista di un vero e proprio colpo di mano votando una serie di emendamenti alla Costituzione che ne cambiano radicalmente il contenuto ed i princìpi; iniziativa portata a termine senza coinvolgere nel processo, come prassi nei Paesi democratici, le altre forze politiche.
I partiti di opposizione, unitamente alle Ong ungheresi, si sono appellati alla Commissione Europea ed alla Corte Europea di Giustizia denunciando le modifiche costituzionali come una violazione dei diritti umani del loro popolo.
Se la Commissione europea si è limitata a dichiarare che sta ”esaminando la situazione”, una risposta che potremmo definire molle, seppur probabilmente il massimo consentito da meccanismi internazionali evidentemente inadeguati, ha visto il Presidente della Commissione Europea Barroso sollecitare le Istituzioni magiare ad impegnarsi a rapportarsi con quelle europee per rimuovere quanto risulti incompatibile con i princìpi dell’Unione ed il Diritto Comunitario. Dura la risposta di Orbán il quale, limitatosi ad un secco richiamo alla sovranità nazionale, ha invitato le Istituzioni europee “a non intromettersi”.
Nel iniziale tentativo di non irritare eccessivamente (o di non imbarazzare quasi a non voler “destar il can che dorme”) le diplomazie europee, l’iniziativa di riforma costituzionale è stata formalmente presentata da un deputato della Fidesz e non intrapresa, quindi, direttamente del Governo di Budapest. Non possono esserci dubbi, però, si tratti di un golpe bianco orchestrato dallo stesso Orbán.
Affrontando nello specifico la riforma, dal punto di vista istituzionale, a partire dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale degli emendamenti, viene posto, di fatto, il bavaglio alla Corte Costituzionale in quanto le modifiche alla Carta potranno ora essere messe in discussione solamente dal punto di vista formale, senza la possibilità di entrare nel merito e contestarle nei contenuti.
La Corte, inoltre, non potrà più appellarsi, in termini di Diritto, a proprie sentenze emesse anteriormente alla riforma Costituzione attuata da Orbàn del gennaio 2012. Con questa manovra viene scavalcato quello che finora era stato il problema Corte Costituzionale, responsabile, nella sua indipendenza, di aver respinto alcune delle leggi che ora vengono imposte come dettame costituzionale.
A sgombrare, qualora ce ne fosse il bisogno, il campo dai dubbi sulle intenzioni riguardo al percorso intrapreso ci pensano le limitazioni alla libertà di espressione; il nuovo vincolo al rispetto della “dignità della nazione ungherese, dello Stato e della persona” esprime un concetto sufficientemente ampio e poco dettagliato da concedere una discrezionalità interpretativa tale da consentire al regime una molteplicità di abusi.
La manovra è pesante ed avvolgente, il bavaglio totale; le emittenti televisive e radio, già osteggiate (in quanto indipendenti) sul tema delle frequenze e del monte-pubblicità, vedono, ora, il divieto di trasmettere dibattiti elettorali e politici.
Dal punto di vista puramente politico, al vecchio partito comunista, divenuto, dopo il crollo dell’URSS e del Patto di Varsavia, Partito Socialista ora all’opposizione, viene attribuita la definizione di “associazione criminale” concedendo al regime, di fatto, la possibilità di processi politici ai danni dei propri oppositori. Nuovi poteri alle forze di polizia, inoltre, permetteranno incarcerazioni anche solo per sospetta sedizione o sospetta congiura ai danni dello Stato. Come se non bastasse, aspetti discriminatori e di razzismo entrano nella Costituzione passando, così, da temi di discrezionalità nello scontro politico (seppur deprecabili, ma “solo” scontro politico) a riferimenti ufficiali e fondamenta dello Stato.
Soltanto le religioni riconosciute dalle Leggi, poi, verranno trattate dallo Stato con pari dignità. Anche su questo tema la discrezionalità che si ritaglia il Governo è enorme. I senzatetto, poi, divengono perseguibili penalmente se scoperti a dormire in spazio pubblico. Infine gli studenti. A coloro che si laureano grazie agli aiuti statali sarà impedito espatriare in cerca di lavoro e saranno obbligati, pena la restituzione del equivalente degli aiuti ricevuti, a restare in Ungheria per un periodo pari al corso di laurea che può arrivare a dieci anni.
In un tale contesto va rilevato come la politica culturale del governo Orbàn abbia riabilitato la figura del dittatore Miklòs Horthy (al quale vengono ora erette statue, dedicate vie e piazze) ritenuto dagli storici il migliore alleato di Hitler in Europa oltre che suo importante complice nella conduzione della Shoah.
Un moto di ribellione culturale e di denuncia, quindi, non può che attraversare chi, figlio della cultura liberale, sia indisponibile a rendersi complice di questo abominio politico e delle nuove politiche di discriminazione di Stato che stanno nascendo a soli 300 km dai nostri confini.
Bruxelles non dovrà transigere neppure sulla politica economica del  governo ungherese: in virtù del suo nazionalismo, Orbàn pare aver deciso che il suo Paese deve uscire da solo dalla grave crisi economica che attraversa. Si rifiuta di piegarsi  alle condizioni imposte da UE e FMI in cambio del loro aiuto e le due  istituzioni hanno sospeso ogni trattativa con Budapest. E hanno  ragione: l’Europa non deve aiutare un Paese che si fa beffe delle sue  direttive e dei suoi principi.

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