Salario minimo o reddito minimo garantito? Iniziativa a livello Italia o Europa?
Negli ultimi tempi, si dibatte, a volte strumentalmente, perché non si tiene conto della fonte di finanziamento di tali misure, se adottare un "salario minimo o un reddito minimo garantito", per far fronte alle gravi difficoltà economiche in cui versano molti cittadini in Italia. Inoltre si discute se tali misure devono essere assunte dai singoli Paesi o in ambito europeo e ciò è ovviamente è soprattutto legato alla disponibilità delle risorse finanziarie da stanziare. In ambito europeo, Philippe Van Parijs, parla di "reddito di cittadinanza", uno dei principi fondamentali indicati dal filosofo, ispiratore del "basic income" come misura universale e incondizionata a favore della persona. Il reddito non dev'essere un sussidio di povertà, non deve obbligare ad accettare qualunque lavoro, ma garantire dai ricatti e incentivare alla formazione o alla riqualificazione del cittadino.
Ma
quanto costa il reddito di cittadinanza? Secondo gli estensori della proposta di
legge italiana, 10 miliardi all'anno da ricavare dalla fiscalità generale. Ai
singoli andrebbero 600 euro al mese, 7200 euro all'anno, "fino al miglioramento
della condizione individuale", quindi per una durata flessibile e non rigida,
come del resto previsto dalla stessa Commissione Europea. Questi costi
dovrebbero essere finanziati dalla riforma (non cancellazione) della giungla
degli attuali ammortizzatori sociali, stornando risorse dalla lotta all'evasione
fiscale, dalle spese militari e dai risparmi sui costi della politica e della
burocrazia (taglio della province e spending review).
La commissione dei saggi, oggi ha concluso i suoi lavori, proponendo una
misura possibile che consiste nell’introdurre un credito di imposta per i
lavoratori a bassa retribuzione. Esso non solo risponderebbe a esigenze
equitative, ma potrebbe risolversi anche in un incentivo alla partecipazione del
lavoro. Schemi di questo tipo sono adottati da vari anni in altri Paesi
avanzati. Al contrario di altri strumenti pensati per gli individui privi di un
impiego retribuito (come il sussidio di disoccupazione o il reddito minimo di
inserimento), il credito d’imposta, incrementando esclusivamente i redditi netti
da lavoro, mira a stimolare l’occupazione; potrebbe anche contribuire
all’emersione di occupazioni irregolari. D’altra parte, nel disegnare lo
strumento bisognerebbe tenere conto dei rischi di evasione ed elusione e che, in
mancanza di un salario orario minimo, le imprese potrebbero traslare il credito
d’imposta in riduzione delle retribuzioni nette, annullandone l’effetto
redistributivo, ecco allora l'utilità e la necessità di un salario minimo
garantito che garantirebbe un salario dignitoso al lavoratore precario, senza
andare incontro a questi rischi.
Un credito di imposta per i lavoratori a bassa retribuzione avrebbe anche
l’effetto, desiderabile, di fornire un sostegno ai giovani, che, per le ragioni
appena descritte, sono sovra-rappresentati in questa tipologia di occupati. Va
peraltro ricordato che nell’ordinamento italiano esistono già importanti esempi
di incentivi economici all’assunzione dei più giovani, quali il contratto di
apprendistato che, oltre alla più favorevole disciplina della rescissione del
rapporto di lavoro, prevede un carico contributivo limitato o del tutto assente.
"Bisogna ritrovare la
dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria, con misure come "il
salario minimo in tutti i Paesi della zona euro", altrimenti perderemmo
credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx", ha
affermato di recente l'ex presidente dell'eurogruppo, Junker. Resta drammatica
la situazione della disoccupazione. "Avevamo detto che l'euro avrebbe
riequilibrato la società e invece la disoccupazione aumenta". "Nell'area euro
supera l'11%, e non ce lo possiamo permettere", ha spiegato Juncker, secondo cui
la mancanza di occupazione è "una tragedia che stiamo sottovalutando". Per
questo, ha aggiunto, "dobbiamo realizzare politiche più attive per il mercato
del lavoro". Ma sulle soluzioni da adottare e sulla strada da
imboccare nei prossimi anni c'è poco accordo. gli Usa e gli altri ci
interpellano a proposito e noi abbiamo solo risposte di cortissimo respiro", ha
notato Juncker lamentando come nell'ultimo vertice UE i leader hanno fatto
osservazioni discordanti sulla road map descritta dai 4 presidenti Draghi,
Juncker, Van Rompuy e Barroso sul rafforzamento della
governance.
Purtroppo, secondo la Banca
d'Italia, nel 2013 il PIL a scenderà di un altro 1% e le previsioni dicono che
la disoccupazione aumenterà al 12% nel 2014. Ciò nonostante il tempo delle
decisioni d'emergenza dovrebbe essere finito.
Lo scenario apocalittico di
una rottura dell'eurozona non si è avverato. L'ha detto José Manuel Barroso in
una conferenza stampa con Enda Kelly, premier dell'Irlanda che ha assunto la
carica di presidente di turno dell'U.E. in questo primo semestre; (la Presidenza
del Consiglio dell'Unione Europea consiste nella responsabilità di gestire e
coordinare il funzionamento del Consiglio dell'Unione europea nelle sue varie
formazioni). Per il presidente della Commissione europea "non è però tempo per
compiacersi" e la priorità deve ora essere la crescita. Per Barroso "abbiamo
dimostrato di avere la volontà di fare tutto il necessario per la stabilità
della moneta unica", ma "non dobbiamo compiacerci" perché "la parola chiave è la
crescita" e per questa è necessario "completare l'aggiustamento del settore
finanziario, perseguire il consolidamento fiscale e mettere in atto le riforme
economiche per la competitività e fare investimenti
mirati".
Secondo Barroso, è sleale" accusare la UE per l'austerity. "Le difficoltà
dell'Italia vengono dal debito eccessivo fatto dai governi precedenti" e "per
l'irresponsabilità" dei supervisori nazionali. Le misure di austerity, ha
sottolineato Barroso, "ci sarebbero state con o senza l'euro, con o senza
l'Unione Europea". Gli aggiustamenti di bilancio, ha continuato, "devono essere
fatti nel Regno Unito che non è nell'euro, così come in Islanda che non è
neppure nella UE". "C'é il mito che la UE impone politiche dure, ma non è vero"
ha continuato il presidente della Commissione europea, affermando di essere
consapevole che "molti" portano questa posizione all'opinione pubblica. "Ma
questo è sleale", ha affermato argomentando che la riduzione degli squilibri di
bilancio è "necessaria per riconquistare la fiducia", indispensabile per
recuperare gli investimenti "senza i quali non si può avere crescita". Lo stesso
concetto, delle ingiuste accuse rivolte all'Unione Europea, è stato ribadito
ieri pomeriggio dall'ex. presidente della Commissione europea, Romano Prodi
parlando di "Erasmus" agli studenti del campus Einaudi di Torino.
"I tempi che viviamo sono
difficili, ci sono ancora cose da fare molto difficili" e il governo che verrà,
speriamo presto, subito dopo l'elezione del presidente della Repubblica, dovrà
affrontare anche questo problema, perchè milioni di persone sono ridotte alla
disperazione e c'è il rischio di una "rottura sociale".