Come recuperare competività e risorse alla crescita.

La soluzione al problema legato all’art. 18, con l’accordo dei tre segretari dei partiti che sostengono questo governo e lo stesso premier Monti, avrebbe dovuto placare gli animi di tutte le parti in causa ma l’irresponsabilità di alcune frange del PDL che vogliono fare eco alle pretese della Marcegaglia, (quel giudizio - "very bad" sulla riforma del lavoro, rilasciato sul Financial Times dà un'immagine deleteria all'estero del nostro Paese con conseguenze negative su spread e borsa), non ha fatto cessare la diatriba in corso su quest’argomento, così importante perché riguarda da un lato la flessibilità utile alle imprese e dall’altro la difesa di diritti e la dignità dei lavoratori. Sembra che Quest’ultima sia più interessata al dire e a creare scompiglio che al fare, giacché il suo mandato da presidente della Confindustria è alla fine e considerato che si pone in contrasto non solo con delle decisioni prese, dopo una lunga mediazione fra le Parti in causa, ma anche in contrasto con la posizione di Chi la sostituirà alla guida della Confindustria, il quale ha espresso a riguardo la sua opinione, dicendo che il problema legato alla disoccupazione, al precariato e ai mancati investimenti esteri, non sono certo da attribuire all’art.18. Bersani, durante l'intervista al Tg3, si è detto soddisfatto che sia stato recepito il principio del reintegro in relazione all'art.18, ma soprattutto che si sia evitata l'idea di una monetizzazione del lavoro. L'onere della prova, ha dichiarato Bersani, non sarà a carico del lavoratore, il principio del reintegro c'è e c'è anche l'onere della prova non a carico del lavoratore. Questo risponde all'ansia che si stava diffondendo tra milioni di lavoratori ed è un risultato importante. Bersani non ha escluso che si possa raggiungere ulteriori miglioramenti in Parlamento e si augurato che l'iter di approvazione della riforma del mercato del Lavoro possa essere ragionevolmente veloce.

Rimane sempre il nodo degli investimenti per la crescita e l’occupazione e il reperimento delle risorse da investire. Dove prendere tali risorse? Proprio il 20 marzo scorso, l’accordo, sulla doppia imposizione tra Svizzera e Gran Bretagna del 6 ottobre 2011, è stato definitivamente ratificato dai rappresentanti dei due Governi. La G.B. ha stipulato un nuovo accordo con il governo di Berna (Svizzera) per tassare i capitali dei cittadini inglesi che li hanno esportati illegalmente e depositati nelle banche svizzere, portando l’aliquota da applicare per la tassazione al 41%. Le nuove direttive entreranno in vigore verso l’inizio del 2013, dopo l’approvazione dei rispettivi Parlamenti.

Secondo le nuove prescrizioni i titolari di conti bancari inglesi aperti in Svizzera, dovranno versare un’imposta liberatoria per regolarizzare la loro situazione. Le autorità svizzere offriranno inoltre le garanzie affinché i contribuenti britannici possano versare le loro imposte sui futuri redditi. La Confederazione elvetica auspica che sull’onda dell’accordo raggiunto con l’Inghilterra si possano concludere anche gli accordi siglati con la Germania e, finalmente, avviarsi quelle con l’Italia, con le quali la materia “doppia imposizione” è rimasta congelata in attesa di un indirizzo europeo univoco. E’ arrivato il tempo e sarebbe utilissimo per la situazione economico-finanziaria in cui ci troviamo che anche l’Italia chiedesse al governo di Berna di tassare i circa 200 miliardi di euro portati dagli italiani in quelle banche, esportati illegalmente ed evadendo il fisco. Se ciò fosse fatto e si intervenisse nella stessa misura, si recupererebbero circa 80 miliardi di euro di tassazione che sarebbero di estrema utilità per abbassare il debito pubblico e investire in sviluppo e ricerca.

Sarebbe anche utile, a questo punto della diatriba sui diritti e doveri dei Lavoratori, porre la questione urgentissima, dell’imposizione fiscale dei redditi di lavoro, da ampliare e portare in primo piano e indicare come prima mossa di una strategia per rendere competitiva l'economia italiana, ormai in difficoltà per la forte concorrenza dei Paesi emergenti, quindi, capire che la produttività del Paese può recuperare le posizioni perdute incidendo sui costi del conto economico con l'unico mezzo rimasto a sua disposizione, cioè, abbassando o meglio ancora esonerando da qualsiasi onere fiscale i redditi da lavoro e utili d’impresa, spostando l'imposizione sulla ricchezza patrimoniale di datori e lavoratori, ma soprattutto su quelle fasce sociali che fino ad oggi sono state solo sfiorate dal fisco, cioè quel 10% della popolazione che possiede il 50% della ricchezza del nostro Paese. Data l'entità, un tale intervento richiede la revisione dell'intero sistema fiscale, ma sarebbe l’unica a garantire equità e giustizia sociale. Operando questa scelta si avrebbe come vantaggio immediato, l'abbassamento dei costi di produzione, il miglioramento della competitività dell'offerta, un contrasto alle importazioni e delocalizzazioni, un aumento della liquidità e propensione al consumo, ottenendo il bilanciamento delle entrate fiscali, private delle imposte sui redditi d'impresa e lavoro, e tutto ciò sarebbe assicurato estendendo l'imposizione patrimoniale in sostituzione delle rimanenti forme di prelievo.

Avrebbe il governo Monti il pieno e convinto sostegno da parte delle forze politiche e sarebbe Lui per primo propenso a compiere una tale radicale scelta di campo? La maggior parte della popolazione di questo Paese ha dimostrato di accettare i sacrifici che gli sono stati imposti, esibendo maturità e responsabilità; tocca adesso ai governanti e soprattutto alle forze politiche dimostrare di essere altrettanto responsabili.

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