Europa: piccoli ma significativi passi avanti per salvare l'euro e l'Europa!

Dobbiamo attendere il 28 e 29 giugno per sapere con più certezza com'è andato l'incontro quadrilaterale del 22 giugno, a Roma, tra i quattro big europei, Monti, Merkel, Hollande, Rajoy.  Dalla conferenza stampa è venuto solo un numero: 130 miliardi corrispondente all'1% del PIL europeo, per fare ripartire l'economia dei Paesi europei, in particolare dei cosiddetti PIGS. La Cancelliera Merkel ovviamente insiste sulla linea del rigore, di certo l'euro è irreversibile e le battute dei politicanti nostrani di ritorno alla lira è solo propaganda usata come "arma di distrazione di massa". “Anche se la Merkel, che vuol dire i tedeschi, non cambierà la sua posizione (è insito nella loro cultura del rigore) penso che l’Europa abbia un grande potere autonomo che può ancora salvare l’euro. Questa forza è la BCE. La Banca centrale in qualsiasi momento e indipendentemente dagli organi politici può decidere di fornire all’economia tutta la liquidità necessaria per salvare l’euro”.

Un altro importante passo avanti riguarda la decisione di adottare la Tobin Tax, cioè una tassa sulle transazioni finanziare, che oltre a garantire risorse per lo sviluppo (circa 50 miliardi di euro), porrebbe un freno alla speculazione;  ma come è da aspettarsi, l'Inghilterra dirà di no e all'Ecofin di Lussemburgo è subito iniziato un braccio di ferro, ma i Paesi dell'area euro andranno avanti su questa strada concordata dai quattro leader. Un no invece è arrivato dalla Merkel per quanto riguarda l'uso del Fondo salva Stati per calmierare lo spread, purtroppo sempre sopra i 400 punti per l'Italia e intorno ai 500 punti per la Spagna.
Inoltre Mario Draghi ha promosso un'unione bancaria. Il dibattito politico-economico europeo dei giorni scorsi si era concentrato su un nuovo concetto che è stato presentato come uno degli strumenti risolutivi della crisi europea. Gia’ Wolfgang Munchau e Martin Wolff si sono espressi favorevoli all’idea di creare un’unione bancaria europea ma l’acquisizione del favore politico richiederà molto più tempo della benedizione del mondo accademico.
Sotto la pressione dei mercati finanziari (e degli altri ansiosi leader del G20), l’Europa ha convenuto a Los Cabos di costruire un sistema bancario più integrato per arginare una crisi del debito che minaccia la sopravvivenza dell’euro. Persino la Germania, insieme ai suoi “partner” della eurozona, ha preso l’insolita iniziativa di delineare misure dettagliate per completare l’unione economica e monetaria.
L’argomento sarà sicuramente oggetto di revisione e dibattito durante il prossimo Consiglio Europeo del 28 giugno e già gli scontri a distanza fra intergovernamentalisti e sovranazionalisti si sprecano tra chi vede la banking union come un’ingerenza negli affari domestici di uno Stato sovrano e chi sostiene che una maggiore integrazione del settore sia l’unica via per salvare la moneta unica.
Ma in pratica, come si costituirebbe quest’unione bancaria? In un documento allegato alla proposta di direttiva, si nota come la Commissione sostenga l’implementazione di una più integrata unione bancaria fondata su 4 pilastri fondamentali
  1. Un unico schema europeo di garanzia dei depositi che copra tutte le banche dell’UE.
  2. Un’autorità ed un fondo di risoluzione comuni per la risoluzione di banche transfrontaliere.
  3. Un unico organo supervisore europeo con poteri decisionali, in relazione a banche sistemiche e transfrontaliere.
  4. Un unico codice legale uniforme che regoli la vigilanza preventiva di tutte le banche.
Questo programma dunque comporterebbe inevitabilmente una maggiore regolamentazione e vigilanza del settore bancario a  livello sovranazionale e sono infatti gli stessi Paesi opposti agli eurobonds a contestare l’unione bancaria applicata al di fuori della zona euro.
In primis, il Ministro delle Finanze britannico George Osborne ha dichiarato che l’adozione di un’unione bancaria sarebbe una “conseguenza naturale” della moneta unica ed ha esortato il “continente” a costruire una più coesa unione fiscale comprendente un regime di assicurazione comune per aiutare le banche in difficoltà (come quelle Spagnole, ndr). D’altro canto, Osborne ha puntualizzato che la Gran Bretagna non sarebbe parte di essa e che prima di acconsentire a tale progetto vuole avere garanzie di protezione per il settore dei servizi finanziari, la più grande industria della Gran Bretagna. Anche la Repubblica Ceca è contro il rafforzamento pan-europeo di vigilanza bancaria, come proposto dalla Commissione europea dicendo che “il controllo di altissima qualità dalla Banca nazionale ceca non deve essere diluito in qualche pan-europea di vigilanza”. Da ricordare: dei 27 Paesi dell'Unione Europea, solo UK e la Ceca non hanno approvato il "fiscal compact"!
Poter affidarsi ad un’unione bancaria significherebbe centralizzare la supervisione delle banche in tutta Europa. Questa è la controparte necessaria per la creazione di un deposito di assicurazione ed un sistema di risoluzione comuni. In realtà, la mutualizzazione dei rischi implicherebbe anche la centralizzazione del controllo sui rischi, altrimenti ogni Paese avrebbe un  incentivo a sorvegliare le banche in maniera superficiale ed al medesimo tempo di imporre le perdite sui contribuenti di altri paesi. Una creazione di un’autorità di controllo comune è quindi necessaria.
Riguardo all’autorità di risoluzione comune, è necessario prevedere strategie ordinate di fallimento nel caso una o più banche diventino insolventi. Idealmente, questo processo dovrebbe ridurre al minimo i costi per i contribuenti e contemporaneamente garantire la stabilità del sistema finanziario e preservare le funzioni più importanti esercitate dalle banche. Ciò richiede una forte autorità politica e competenza tecnica.
La necessità impellente di un’unione bancaria si dirama lungo due motivi principali. In primo luogo, l‘attuale inadeguata e difettosa regolamentazione sulla ricapitalizzazione di un Paese risulta potenzialmente dannoso per altri Paesi dell’Unione, soprattutto all’interno dell’unione monetaria. Gli effetti di spillover sono tutt’ora nocivi e creano una costante instabilità finanziaria.
In secondo luogo, i casi di Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda mostrano come l’onere di dover salvare le proprie banche risulta già eccessivo tanto per un sistema bancario nazionale quanto per le conseguenze che queste portano sui suoi contribuenti. La mancanza di un’unione bancaria ha dunque creato grande incertezza che ha portato a gravi conseguente sulla crescita, l’occupazione ed il livello di investimenti soprattutto nei Paesi dell’Europa meridionale che stanno già vivendo il fenomeno della “runs on banks”.
In seguito al caso di Bankia, (una delle principali banche spagnole in difficoltà), è importantissimo che i capi di Stato europei affrontino i problemi del settore bancario e si mettano d’accordo su una soluzione sovranazionale al riguardo che preveda sia gli oneri che i doveri di tutti gli Stati membri.

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