Europa - Germania e Francia - Il rigore e la crescita!

L'incubo "spread" si è riaffacciato con prepotenza nel precario quadro economico-finanziario dell'Italia, con la sua repentina risalita a quota 480 punti. Le conseguenze si faranno sentire sui conti pubblici e  sugli sforzi fatti finora per raggiungere il fatico obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Più interessi da pagare negli anni a venire saranno un'ulteriore zavorra e non farà allentare la morsa delle tasse che oggi sono un ostacolo alla crescita dell'economia. Lo scorso 23 sera in una riunione tenuta a Bruxelles dai leader europei, si sperava che il nuovo duo Hollande Monti potessero ammorbidire la posizione della Cancelliera Merkel per l'adozione degli eurobond o quantomeno dei project bond, ma  Angela Merkel gli eurobond proprio non li vuole. Come il portavoce della  cancelliera e il vice del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, hanno spiegato e ripetuto con insistenza in questi giorni del vertice europeo: "Berlino ritiene gli eurobond, in quanto condivisione di responsabilità di ciascun membro dell'Eurozona per i debiti sovrani degli altri membri, la medicina o terapia sbagliata somministrata al momento sbagliato", e che quindi avrebbero anche effetti collaterali sbagliati e non desiderabili. La Germania (e i suoi elettori) temono che la condivisione di responsabilità tedesca per i conti pubblici di Paesi altamente indebitati e dalle incerte sorti di risanamento apra per Berlino non solo il rischio di nuove forti spese, dopo quelle pesantissime già sostenute per l'Efsf,  per lo Esm domani, e per i programmi di aiuto alla Grecia, bensì che possa portare anche a un declassamento del rating della Repubblica federale, che attualmente è a tripla A. Per i project bond vedremo cosa potrà scaturire di buono nel vertice europeo del 28 giugno.

I leader tedeschi ripetono di continuo il loro mantra: "la priorità è il risanamento e la stabilizzazione dei conti pubblici e dei debiti sovrani degli Stati membri dell'Unione monetaria." E a questo fine, il fiscal compact è lo strumento principale. Il fiscal compact dunque, secondo Berlino non è assolutamente negoziabile: va ratificato e basta, al contrario di quanto sostiene Parigi. Concessioni però saranno indispensabili, prima o più probabilmente dopo il vertice. Per un semplice motivo di politica interna: per ottenere la maggioranza di due terzi necessaria alla ratifica del fiscal compact e di altre importanti decisioni sulla Ue, la Cancelliera ha bisogno dei voti della Spd al Bundestag. E la Spd, in un'azione concertata con Hollande, pone la condizione irrinunciabile di lanciare contemporaneamente forti iniziative per la crescita. Un'ipotesi di compromesso è un sì tedesco ai project bonds, cioè titoli nazionali per finanziare grandi investimenti nelle infrastrutture, e l'uso immediato di fondi europei. In Irlanda c'era il referendum sull'adozione del "fiscal compact" che è passato con il 60% dei voti.
 
Ma François Hollande non demorde, non ha nessuna intenzione di rimandare alle calende greche una delle sue promesse elettorali: la creazione degli eurobond. Però sa che l’impresa è quasi disperata. In una conferenza stampa tenuta durante la campagna elettorale, Hollande aveva promesso l’invio di un memorandum ai partner europei. Oggi, tuttavia, lo ritiene inutile: la Francia è convinta che una buona parte delle sue idee sulla crescita siano già sul tavolo dei 27, dal rafforzamento del capitale della Bei all’utilizzo dei fondi strutturali alla Tobin Tax. E il Libro verde della Commissione in cui si parla delle "obbligazioni di stabilità" è considerato una base di discussione. Parigi pensa si possa trovare un compromesso sui "project bonds", considerati uno strumento importante ma limitato, poiché utilizzabile solo per il finanziamento di grandi progetti.

Hollande vorrebbe proprio mutualizzare i debiti dell’eurozona per facilitare il finanziamento dei Paesi più fragili. Il capo dello Stato dovrebbe insistere su questo punto, quanto meno perché venga avviata una riflessione comune. Il problema, per la Francia, è lo stato delle sue finanze pubbliche: il Paese ha più volte disatteso i suoi impegni in materia di risanamento e Hollande potrà essere ascoltato con più attenzione a Berlino,  solo dopo aver mostrato di voler far sul serio quando parla di riduzione dei deficit. L’ostacolo principale, insomma, resta sempre lo stesso: a caldeggiare la solidarietà europea sono i Paesi più indebitati, Francia compresa che deve dimostrare al pari della Germania di volere un'Europa politica, rinunciando alla sua sovranità e alla sua "grandeur" che ha sempre frenato l'evoluzione dell'Europa fin dai tempi di De Gaulle.

Ne esce confermata la ragione profonda della prova di forza in atto, tra Francia e Germania, sul teatro della crisi dell’euro. Al tempo di Maastricht la Francia non ha voluto accettare l’unione politica insieme a quella monetaria. Oggi la Germania, nel migliore dei casi, sta mostrando al governo francese le conseguenze di quel diniego, tutte a danno della Francia stessa e dei membri più deboli dell’Ue, e sta cercando di obbligarlo a cedere sull’unione politica. La Germania non accetta più di pagare per restare un Paese di serie B sulla scena internazionale. E’ un braccio di ferro logorante. La tentazione puramente nazionalista potrebbe prendere il sopravvento e una schiarita potrà avvenire solo fra un anno, quando in Germania si andrà a votare per le politiche in cui la Merkel cerca una sua riconferma.
 
Cosa può fare l'Italia? Un Paese come il nostro, ove risultasse spendibile la credibilità riconquistata  e dotato di un ceto politico pronto ad assumersi le sue responsabilità,  potrebbe svolgere un importante ruolo di mediazione e di impulso. In caso contrario, con un'opinione pubblica disorientata dalle contumelie del Grillo parlante e la vendita porta a porta di un ceto di affaristi e venditori di prodotti di largo consumo, con le posizione demagogiche dei "cercatori di funghi" fuori stagione, che pur di racimolare qualche voto di consenso non hanno partecipato neanche alla festa della Repubblica, tanto necessaria con tutta la sobrietà del caso, per dare un messaggio di unità del Paese che esiste nonostante le tante difficoltà. Mancanza di sensibilità di IDV e della Lega che ci lascia perplessi e increduli ma nello stesso tempo non impreparati di fronte a tanto qualunquismo, perchè ormai arcinoto. Non rimane che il nostro impegno, come PD, unico partito rimasto nell'orizzonte politico italiano promotore di una nuova stagione di un governo che dev’essere determinato, intransigente e capace di aggregare chi è ancora disponibile a condividere un futuro difficile ma di speranza, di riscatto e di realizzazioni concrete che abbiamo come bussola la giustizia, l'equità con una mirata ridistribuzione della ricchezza oggi nelle mani di pochi e la consueta, ma ancora più energica attenzione del mondo del lavoro.

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