Stati Uniti d'America, quando potremo scrivere "Stati Uniti d'Europa"?


Questo è il discorso conclusivo di Barak Obama, dopo la sua riconferma a presidente degli Stati uniti d'America:
"Credo che potremo mantenere la promessa dei padri fondatori. Che se sei disposto a lavorare duro, non importa che tu sia uomo o donna, bianco o nero, ricco o povero, vecchio o giovane, etero o omo, riuscirai a farcela in questo Paese e a vedere realizzato il tuo sogno. Siamo più di un insieme di stati democratici e repubblicani, siamo e resteremo gli Stati Uniti d'America, e se Dio vorrà dimostreremo di essere uniti e che possiamo lavorare insieme per costruire un futuro migliore".
Siamo stati in tanti a tirare un sospiro di sollievo per la riconferma del Presidente Obama alla guida della prima potenza di questa terra; altri si sono contrariati, soprattutto coloro che nel recente passato hanno ostacolato la politica contro il sistema finanziario corrotto, contro gli egoismi e la speculazione selvaggia che hanno consentito all'1% della popolazione americana di possedesse il 50% della ricchezza di quella nazione. Le stesse forze che vorrebbero relegare anche il ruolo dell'Europa nel mondo, in un cantuccio della storia. L'America ha espresso la volontà di voler proseguire nella via tracciata da Obama, che chiede più uguaglianza, una migliore distribuzione della ricchezza di quel Paese e una maggiore collaborazione tra USA e l'Europa che non sa ancora decidere come uscire dalla crisi, l’America decide di andare avanti lungo la via tracciata da Obama. Con più convinzione rispetto alle aspettative, gli americani ci dicono che la via delle riforme della società americana deve proseguire, ora certamente con il vigore che prima è mancato. Obama, senza l’assillo di un altro mandato, può forzare là dove prima non ha potuto: sulla politica sociale, a partire dalla questione dell’immigrazione, sulla stessa riforma sanitaria e poi, soprattutto, sul peso abnorme della finanza, ponendo limiti alla sua azione speculativa. Le grandi banche d’affari che si sono schierate contro Obama perché voleva vietare le operazioni speculative utilizzando mezzi propri (detto in altri termini: con i soldi dei depositanti) ora sanno che avranno di fronte un Presidente più forte, che presenterà loro il conto. Ma questi "signori" hanno già alzato la cresta minacciando di declassare l'America dalla tripla "AAA".
I nuovi quattro anni di Obama possono rappresentare, più che una continuità più forte rispetto a prima, una svolta radicale nella sua politica. Ciò che prima non poteva fare, ora con il secondo mandato può farlo, perché l’America ha bisogno di cambiare profondamente se vuole mantenere un ruolo di leadership. Obama deve innanzitutto puntare sulla riduzione delle disuguaglianze per avere una maggiore coesione sociale, condizione necessaria per poter cominciare a ridurre la montagna del debito pubblico e privato che rende il Paese dipendente dalle potenze emergenti. Un problema molto sentito è questo del debito, in particolare la dipendenza dai creditori stranieri. In particolare, soltanto i cinesi detengono il 7% dello stock del debito americano per un totale di 1.150 miliardi di dollari rispetto a un debito federale complessivo di 16.235 miliardi di dollari. Obama deve far comprendere agli americani che una certa "american way of life" basata sul debito e sull’esportazione dell’inflazione nel mondo non può continuare. Deve capire che il ruolo centrale del dollaro sta volgendo al termine e che è necessario affrontare il governo di un mondo multipolare nel campo della moneta, dell’ambiente, della gestione delle risorse materiali, economiche e finanziarie, chiamando i repubblicani a collaborare, rinunciando ai loro privilegi e chiedendo alle classi più ricche della nazione, che loro rappresentano, di pagare più tasse. Non è  più accettabile e praticabile che un milionario paghi molto meno tasse di un operaio.
Ma Obama può far imboccare un nuovo corso alla politica americana ad una condizione precisa; se ci sarà anche l’Europa. Solo se l’Europa porta a compimento, in questi anni e da subito, una maggiore integrazione delle sue istituzioni, con la nascita di un governo democratico, responsabile davanti al Parlamento, potrà porre il problema di un nuovo ordine mondiale e rappresentare, per l’America di Obama, un partner fondamentale per lo sviluppo di una politica mondiale basata sull’interdipendenza tra le grandi aree del mondo.
L’America, nell’incredulità di molti, ha mostrato di voler ancora credere nel “yes, we can” di quattro anni fa. Tocca ora all’Europa dimostrare che si può cambiare anche su questa sponda dell’Atlantico. Nell’unico modo che serve per rispondere alla sfida del tempo: realizzando il “sogno europeo” che anche gli americani si attendono da noi. Le forze conservatrici che voglio con forza difendere i loro privilegi e condizionare il mondo, non hanno gradito la sconfitta di Colui che avrebbe dovuto rappresentarli e oggi ci hanno mostrato di cosa sono capaci, mandando segnali di ricatto. Due delle agenzie di rating hanno mandato a dire al presidente americano e all'Europa che sono pronti a declassare l'America, se Obama non metterà a posto molto presto i conti di casa propria, pur sapendo che alla Camera dei deputati, dove hanno la maggioranza, loro stessi metteranno in atto ogni ostruzionismo per impedire la sua politica di rinnovamento e di progresso equo e civile. I giovani hanno scelto ancora lui, come presidente, così pure gli immigrati e persino l'ex repubblicano sindaco di New York Michael Bloomberg si è schierato dalla sua parte, avendo vissuto sulla sua pelle e su quella della città che amministra, dopo la distruzione subita dal passaggio di Sandy, quanto sia importante una politica di salvaguardia dell'ambiente.

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