La riforma del mercato del lavoro - una rivisitazione per possibili modifiche!

Uno dei primi impegni del nuovo governo, dovrebbe essere quello di mettere mani alla riforma del lavoro per correggere le storture in essa contenuti. Leggendo la riforma non sfugge all'occhio un po' attento, uno dei punti deludenti che riguarda gli ammortizzatori sociali. Infatti, soprattutto in una fase di grave crisi economica e in assenza allo stato di reali prospettive di crescita, essi rappresentano uno strumento essenziale per la tutela della dignità e di un minimo di sostentamento dei cittadini, svolgano o no un’attività lavorativa.
Con riferimento agli aspetti salienti di questa riforma, può affermarsi che la prevista eliminazione dell’indennità di mobilità si concreta non solo in una rilevante riduzione del periodo di sostegno, ma anche nel passaggio da una tutela dello status del lavoratore (che anche in C.I.G. mantiene pur sempre un collegamento con la sua azienda) a un’elargizione di una modesta somma di denaro per dodici mesi (in numero superiore per gli ultra cinquantacinquenni).  Ormai disoccupato, il cittadino è così immesso nel libero mercato del lavoro, ha molte difficoltà a trovare una nuova occupazione e quando possibile deve abbassare le sue pur minime pretese.
Egli decadrà, infatti, da ogni trattamento ove non accetti un’offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità da lui percepita, a sua volta già calcolata in misura pari al 75% della sua retribuzione. 
A riprova del carattere notevolmente penalizzante di quest’aspetto della riforma si consideri che si è eliminata anche la “cassa integrazione” per il caso di cessazione dell’attività, trascurando che essa è servita a far sì che, nei casi di riconversione produttiva, la lotta dei lavoratori riuscisse a salvare dalla speculazione importanti insediamenti produttivi: è evidente, cioè, la netta preferenza accordata dal governo agli ammortizzatori c.d. risarcitori, a fronte di quelli conservativi del posto di lavoro, allo scopo di consentire, quando occorra, un rapido alleggerimento occupazionale da parte dell’impresa. 
Sotto altro profilo, alla presenza di una tendenza, ormai manifestatasi in quasi tutti i Paesi europei, a estendere gli strumenti di sostegno in favore dei lavoratori, anche se disoccupati o inoccupati, attraverso l’erogazione di un reddito di cittadinanza di carattere universalistico, la riforma invece include poche altre tipologie contrattuali nell’ambito della tutela, sia pur modesta, rappresentata dall’indennità di disoccupazione (ribattezzata Aspi). Essa è sottoposta per di più, quanto ai soggetti legittimati, alla sussistenza di una condizione che di per sé ne impedirà il godimento a larghe fasce del mondo del lavoro, richiedendosi, allo stato, che essi possano far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione.

Va da se che l’ispirazione marcatamente neo-liberista che caratterizza la riforma, che incidere negativamente sia sui diritti dei lavoratori riguardo ai diversi aspetti della flessibilità-in entrata e in uscita- da essa considerati, sia sull’ambito di tutela degli ammortizzatori sociali, sia sul ruolo delle organizzazioni sindacali, comportano la necessità d'introduzione di modifiche, ad alcune delle quali si è fatto in precedenza riferimento, al fine di riportare almeno in equilibrio gli interessi in campo.  A tanto sono chiamate tutte le fasce e categorie sociali e nel loro ambito un ruolo non secondario compete agli esperti della materia, che, a mio avviso, non possono sottrarsi al compito di porre in rilievo tutti gli aspetti critici della disciplina in questione (rilevandone i gravi effetti che ne derivano a danno dei lavoratori, le distorsioni di principi costitutivi del nostro ordinamento e la sua estrema lontananza delle effettive esigenze del complessivo mondo del lavoro) e di sostenere proposte equilibratrici. Sensibile a tal esigenza, attraverso queste poche righe propongo una maggiore attenzione affinché nel nuovo parlamento, dove solo una forza politica come il PD, unico a porre come valore prioritario, insieme alla questione morale, "il lavoro", si possano apportare le dovute modifiche. Altro aspetto da evidenziare è la riduzione del numero dei contratti atipici, per porre un freno al precariato, che dovrà essere una priorità.

Con la decisione di cimentarsi in politica, il premier Monti, se riuscirà a portare via al PD qualche seggio al senato, metterà a rischio la governabilità del Paese e sarà un compito arduo intervenire sulle riforme volute da loro. Ecco perché ci sono state da più parti, (anche da me stesso con pacata ironia, nei confronti del Premier), la denuncia e levata di scudi in parte velati. Come cittadini siamo liberi nelle nostre scelte, ma da parte di Chi è stato eccezionalmente chiamato a ricoprire ruoli istituzionali e in un passaggio delicato della vita democratica del Paese, è necessaria una maggiore responsabilità confacente la situazione difficile in cui ci troviamo, per evitare che si ripresenti lo stato d’incertezza e precarietà a suo tempo sperimentata dal governo Prodi. Come sappiamo, i ripetuti appelli e preghiere rivolte da più Parti, perché questa scelta del Premier non avesse seguito, sono caduti nel vuoto e anche la sua stessa parola data più volte, che sarebbe rimasto fuori dalla mischia, non ha avuto migliore destino.  Il ramoscello d'ulivo teso da Bersani è stato rifiutato, dichiarando inoltre che: "non accetterebbe un ruolo di ministro", "non vuole fare da stampella a nessuno" e ha aggiunto: "spero che Bersani convinca, ma non vinca". È una scommessa sull'ingovernabilità dell'Italia, che però fotografa la realtà. Il programma del PD deve distinguersi nel proporre la soluzione dei problemi più importanti affinché evidenzi gli aspetti negativi e inadeguati del programma di Monti, rimarcando che una destra e una sinistra esistono e affrontano i problemi sociali in modo diverso. Bisogna evidenziare l'ambiguità del premier che da un lato enfatizza lo stato di emergenza in cui ci troviamo, anche grazie alla sua politica di rigore, e dall'altro si presenta come il risolutore essenziale dei problemi grazie alla sua azione di governo (della finanza). Partendo dalla correzione delle misure inique assunte dal governo tecnico, a partire dall'IMU sulla prima casa per i redditi bassi, per finire alla stessa riforma delle pensioni che, con l'innalzamento dell'età pensionabile, non solo ha lasciato in strada 300 mila esodati, problema poi risolto solo in parte, ma ha escluso dal mondo del lavoro gran parte dei giovani che avrebbero potuto trovare spazio, nei posti che si sarebbero liberati con il pensionamento. A mio parere, si dovrebbero valutare attentamente, costi e benefici per un parziale abbassamento dell'età pensionabile.  Il premier ha posto come problema prioritario, da affrontare subito, se torna lui al governo, quello della legge elettorale, ma sappiamo che il nuovo governo deve affrontare ben altre urgenze.  Con le primarie il PD ha aggirato la stortura della legge elettorale, scavalcando gli ostacoli che non consentivano ai cittadini la scelta dei candidati da votare, ha già completato le liste sia alla Camera sia al Senato e nella scelta dei candidati in un ramo del parlamento o nell'altro ha anche rispettato, tranne, a mio parere, in qualche raro caso, le peculiarità delle persone, messe in lista in ciascuno dei due rami del parlamento e che poi, se elette, saranno chiamate a svolgere il loro delicato e impegnativo compito in parlamento. Queste e altre decisioni fanno oggi del PD, nello scenario politico italiano, l'unico vero partito: "affidabile, responsabile e adeguato ad affrontare i gravi problemi creati da quasi 18 anni di malgoverno di centro-destra e dallo squilibrio sociale e dalle pesanti iniquità creati dal governo tecnico, facendo più ricchi quel 10% che detiene il 50% della ricchezza del Paese e più poveri tutti gli altri, azione di governo che ha portato il Paese in recessione, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta. 

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