Dove va l'Ungheria?

Dal 2010, la riforma costituzionale autoritaria e nazionalista effettuato dal primo ministro Viktor Oran solleva le proteste dentro e fuori l'Ungheria. Come siamo arrivati ​​qui? Per Lazlo Rajk, l'Ungheria del primo ministro Orban sembra la Romania di Ceausescu. Un altro regime draconiano, da affiancare ad altri, considerato che questo caso non è solo ungherese, ma europeo. Sembra l'Italia del 1994, quel consenso istintivo ed orrendo di settori interi della società che traslocò verso il "nuovo che avanza". Quando gli ungheresi sentiranno che il loro stesso nazionalismo è una cappa più ammorbante di quella che fu la dominazione austriaca?

Era solo il 25 aprile 2010 quando Viktor Orban pronunciava le frasi: "Il cambiamento che oggi abbiamo democraticamente determinato é comparabile solo a quelli che prima accompagnavano le rivoluzioni. Gli Ungheresi hanno oggi dimostrato che bisogna credere alla democrazia. Gli Ungheresi si sono oggi sbarazzati di un sistema di oligarchi abituati ad abusare del loro potere. Il nuovo governo sarà (tuttavia) modesto e umile”.
Era il giorno in cui si festeggiavano i risultati delle elezioni che avevano attribuito al suo partito Fidesz più dei due terzi dei seggi in Parlamento e quelle frasi risuonano oggi in modo ben diverso, cosi’ come le previsioni di quanti vedevano in quella clamorosa vittoria elettorale l’occasione per la moneta ungherese di risollevarsi dalla crisi dalla quale il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea l’avevano a fatica salvata nel 2008.
Ora non solo le relazioni tra UE e FMI sembrano avere raggiunto il loro punto più basso (a giudicare dalla recente interruzione dei negoziati con le autorità monetarie ungheresi) ma preoccupazioni anche maggiori stanno emergendo a livello europeo quanto alla compatibilità di diverse iniziative del Governo Orban con la protezione dei diritti fondamentali e il rispetto dei principi democratici.

L’Ungheria non sembra più rispettare i “valori” che aveva sottoscritto al momento dell’adesione all’Unione europea, ("valori" che il Trattato di Lisbona ha reso ancora più espliciti; da cio’, secondo Verohfstadt la necessità di debba attivare la procedura di "allerta" prevista dall’art. 7 par. 1 del Trattato UE.

E’ solo il caso di ricordare che questa procedura che puo’ essere avviata anche dallo stesso Parlamento europeo, é intesa a verificare se esista un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori fondanti dell’Unione europea ed, in caso affermativo, a permettere al Consiglio di indirizzare raccomandazioni formali al Paese che sta smarrendo la "retta via" cosi da permettergli di ritornare nei ranghi.
Non si tratta quindi di una "opzione" come molti vorrebbero far credere quanti la confondono con la procedura prevista dal secondo comma dello stesso articolo 7 che puo’ portare all’adozione di sanzioni politicamente pesanti come la sospensione del diritto di voto di un Paese membro, ma questo solo quando il Consiglio abbia constatato "l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori" su cui si fonda l’Unione europea.
Eppure già il solo fatto di avere evocato il ricorso alla procedura "di allerta" ha già portato i gruppi politici del Parlamento europeo a schierarsi come già avvenuto in circostanze precedenti; il che renderà problematico l’avvio formale della procedura. Bisognerà quindi seguire il dibattito in aula e i lavori della commissione parlamentare competente, se questa sarà autorizzata dalla Conferenza dei Presidenti dei gruppi politici ad avviare la procedura, ma al di là dell’esito che sarà dato alla proposta del Presidente Verohfstadt, almeno per un osservatore esterno, non sono poche le ragioni di preoccupazione (e forse anche per molti cittadini ungheresi) che emergono dalle recenti iniziative ungheresi.

Tutelare il pluralismo in Ungheria (ma anche nel resto dell’Unione)

I primi dubbi sulla compatibilità della nuova Costituzione Ungherese sono venuti questa volta dalla commissione giuridica dell’assemblea del Consiglio d’Europa che ha chiesto a un’organismo di rinomati costituzionalisti (la "Commissione di Venezia") una analisi del progetto di testo. Da questa analisi, che é stata presentata anche al Parlamento europeo, sono emerse diverse riserve e sospensioni del giudizio in attesa dell’adozione delle leggi quadro da parte del Parlamento Ungherese.

Nelle sue conclusioni la Commissione di Venezia ha criticato:


- il ricorso a leggi quadro (Cardinal laws) da adottare alla maggioranza dei due terzi e ciò per evitare di “cementificare” politiche in campo culturale, religioso, morale socio-economico o anche solo finanziario;
- la limitazione dei poteri della Corte Costituzionale in materia fiscale e di bilancio poteri ormai attribuiti a un Consiglio di Bilancio con rischi potenziali per il rispetto del principio democratico;
- il carattere relativamente generico delle norme relative all’ordine giudiziario che dovrebbe trovare la propria autonomia protetta a livello costituzionale;
- l’incompatibilità con gli standard internazionali e la giurisprudenza europea delle norme in materia di reclusione a vita ;
- le formulazioni relativamente generiche e la debolezza del quadro di protezione a livello costituzionale dei diritti fondamentali.

La Commissione di Venezia non ha inoltre perso l’occasione di criticare i riferimenti nel preambolo della Costituzione, alla protezione delle minoranze ungheresi al di fuori del territorio nazionale in quanto possibile elemento di tensione nelle relazioni fra Stati (tema sul quale si era già pronunciata nel 2001 in occasione di una diatriba Ungaro-Romena relativa sullo stesso argomento).

Questa politica conservatrice ungherese, fra l'altro, in questi anni sta tentando di ricomparire all'orizzonte europeo, in nuove forme, con gli apparati ideologici di movimenti, anarco-comunisti, clerico-nazisti capaci di sconvolgere e ridare fiato a ideologie morte nel Novecento ma che, in altri modi, hanno tutto lo spazio sociale nella miseria, nella disperazione, nel corporativismo, nell'egoismo e nel terrorismo. Chi avrebbe mai immaginato che la crisi economica iniziata nel 2007, esportata dall'America in tutto in mondo ma soprattutto in Europa, con i mutui subprime e i derivati, avrebbe portato l'occidente indietro di 60 anni? Uno scrittore greco intervistato in questi ultimi giorni affermava che nel suo Paese, la Grecia, che più degli altri Paesi europei ha risentito dei contraccolpi di questa crisi, si sta vivendo il dramma vissuto alla fine dell'ultima guerra mondiale.

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