"Il lavoro", un forno della Fornero dove impilare di tutto e di più!

Il governo Monti, con la Fornero, ministra del lavoro, si accinge a portare in parlamento per l'approvazione, le nuove regole della riforma del lavoro. Ci tiene molto il ministro portare a compimento un tale capolavoro, con il  marchio "Fornero", che a parole e con le lacrime che hanno bagnato il suo debutto, avrebbe dovuto assicurare un futuro di speranza alle nuove generazioni, ai precari e ai senza lavoro, la meglio gioventù del nostro tempo. La gioventù che detiene in Europa il primato come NEET, (l'acronimo inglese di "Not in Education, Employment or Training",  in italiano né-né, ed indica individui che non stanno ricevendo un'istruzione, non hanno un impiego o altre attività assimilabili (tirocini, lavori domestici, ecc.), e che non stanno cercando un'occupazione), in cui si ingabbia una generazione a cui non viene riconosciuto quel che già fa o che non può più studiare, lavorare, che non ha mai avuto l’opportunità di contribuire al cambiamento del proprio Paese, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 36%.
Non ancora appagata la Sig.ra Fornero, sta pensando come sistemare i dipendenti pubblici, non sono di sua competenza ma a lei preme dare il suo prezioso contributo perchè è giusto che essi abbiano lo stesso trattamento dei privati, quindi licenziamento più facile anche per loro. Di una ministra che con la riforma sulle pensioni si è dimentica 230.000 esodati, (numeri mai dati per certi, per lei sono solo 65.000), lavoratori rimasti all'improvviso senza stipendio, senza lavoro, senza pensione e senza nessuna copertura, c'è ancora da fidarsi? 
 
In nome di questa generazione il Governo Monti propone una riforma sbagliata per tutti e in primo luogo per i giovani. In nome di questa generazione le politiche di austerity del Governo e della BCE cancellano il futuro di tutti, perpetuando lo stesso modello che ha alimentato le disuguaglianze, che ci ha condotto alla crisi economica e al fallimento di un intero continente. Dov'è finito il pensiero illuminato delle aziende che trattano le risorse umane come una loro ricchezza su cui investire, mettendoli sempre all'altezza dei compiti da svolgere, con continui corsi di formazione e aggiornamento? Persino il nuovo presidente della Confindustria Squinzi, nella sua relazione d'insediamento ha definito questa riforma inutile perchè non risolve il problema dell'occupazione.
 
Ma occorre dire per dovere che, nonostante le lacune sottoriportate che si spera possano essere ancora colmate in parlamento, il testo della riforma è stato migliorato in Commissione grazie al lavoro dei senatori del PD, ma noi vogliamo un altro Paese e un’altra politica. E vogliamo dirlo noi, non lasciamo più che siano altri a farlo. Il Partito democratico incalza il governo sul tema degli esodati, quei lavoratori che, avendo già lasciato il lavoro, con la riforma delle pensioni si ritrovano senza stipendio e senza pensione. "C'è un buco strutturale nella riforma e questo non è accettabile", ha premesso il segretario  Pier Luigi Bersani, spiegando ai cronisti alla Camera che "stiamo incontrando gli esodati e preparando con Damiano una nostra proposta di legge".
L'attuale disegno di legge sul mercato del lavoro presentato dal governo non risponde ai problemi principali che affliggono la vita di una generazione intera perchè, come dicevo prima, salvo modifiche in parlamento:
  • lascierebbe intatta la giungla delle 46 forme contrattuali, comprese quelle che il Governo aveva annunciato di voler eliminare, avrebbero dovuti essere otto;
  • non estende gli ammortizzatori sociali, visto che l’assicurazione per l’impiego lascerà fuori buona parte dei lavoratori precari;
  • non prevede nessuna forma di reddito minimo;
  • scarica l’aumento di costo dei contratti a progetto sulle buste paga dei collaboratori;
  • rappresenta una beffa per le reali partite iva che dovranno pagare di tasca loro l’aumento dei contributi.
Le tante promesse del Governo non sono state mantenute, così i giovani sono diventati il pretesto per precarizzare chi ha ancora un contratto stabile, altro che tutelare i precari!

Si è cercato, in questi anni, di dividere i padri dai figli, le madri dalle figlie, i “garantiti” dai “non-garantiti”. Noi pensiamo che ci siano oggi, come ieri, i ricchi e i poveri, chi vive di sfruttamento e speculazione e chi vive di lavoro. Per questo vogliamo mobilitarci assieme ai nostri padri e alle nostri madri, perché vogliamo unire due generazioni nella difesa dei diritti e nella lotta contro la precarietà, perché non è vero che non c’è alternativa alla disperazione attuale. I suicidi di questi giorni ci parlano di questo: quando si parla di “salva Italia” bisognerebbe pensare a quelle vite spezzate e alle tante solitudini che la precarietà e le disuguaglianze hanno creato.

La precarietà non è un’emergenza del mercato del lavoro, è il più grande attacco alla democrazia italiana degli ultimi decenni. La precarietà significa essere costretti a sopravvivere e si manifesta nella fotografia del diritto allo studio negato, delle scuole che crollano, dell’aumento delle tasse all’università, dell’impossibilità di scioperare o dire no di fronte a un sopruso sul lavoro,  di pagare un affitto o comprarsi una lavatrice ed essere indipendenti, così come lo sono i giovani nel resto d’Europa.

Per noi la precarietà è il messaggio che da vent’anni una classe dirigente ci trasmette: andatevene. Noi vogliamo restare, cambiare le nostre vite e dare un presente al nostro Paese.

Vogliamo poter dire che il nostro problema è la precarietà e l’impossibilità di costruirci un futuro. Ancora prima del posto fisso e dell’articolo 18, ci interessa costruire un paradigma diverso, un altro modello di sviluppo e un welfare diverso, che ricomponga le sue basi sui principali diritti di cittadinanza.

Abbiamo proposte migliori. Noi chiediamo di investire su Università e Ricerca, di riconvertire ecologicamente il nostro sistema industriale per creare buoni e nuovi posti di lavoro.

Chiediamo un modello di welfare universale, finanziato dalla fiscalità generale e da una patrimoniale che colpisca chi finora non ha mai pagato la crisi: rendite parassitarie, profitti finanziari, grandi capitali. Un welfare che si faccia promotore e fattore di crescita, personale prima che economica, e insieme garanzia di diritti e tutele.
Chiediamo che venga bandita sul serio la truffa della precarietà. Ad un lavoro stabile deve corrispondere un contratto stabile e i diritti fondamentali devono essere estesi a tutte le forme di lavoro: l’equo compenso, il diritto universale alla maternità/paternità e alla malattia, i diritti sindacali, il diritto ad una pensione dignitosa, la continuità di reddito nei periodi di non lavoro, la formazione continua.

Chiediamo infine un reddito minimo, fatto di sussidi e servizi, per garantire la dignità della vita e del lavoro com’è in tutti i paesi europei (e come definito nella risoluzione del Parlamento europeo 2010/2039, approvata  – a larghissima maggioranza – il 20 ottobre 2010).

E’ necessaria una grande mobilitazione contro la precarietà, per il reddito, per i saperi e per l’estensione dei diritti e delle tutele: per un Paese diverso e per una nuova idea di cittadinanza, fuori e dentro il lavoro. L’alternativa è il cambiamento, non il mantenimento di pochi diritti e o la versione soft ma non meno triste della precarietà.
 
Voglio tornare a ristudiare economia all'università di Torino per poter seguire le lezioni di economia della professoressa Fornero, oggi anche ministro; ai miei tempi purtroppo ho dovuto accontentarmi di ciò che passava "il convento della Cattolica di Milano", dove si studiava il diritto del lavoro di Gino Giugni, e la Legge 300/1970 - "Statuto dei Lavoratori" che ha introdotto l'articolo 18 a tutela della dignità dei lavoratori. Che brutti tempi erano quelli in cui ci si occupava della dignità dei lavoratori e si pensava che questi fossero una risorsa dell'azienda su cui investire! Perchè Fornero è chiamata ministro del lavoro? Meglio sarebbe chiamarla ministro: "della libertà di licenziare"!
 

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