EUROPA:"Che cos'è "l'European redemption fund"

La BCE, nella persona del suo massimo rappresentante, presidente Mario Draghi, ha avuto coraggio e determinazione nell'annunciare che è decisa a comprare titoli di Stato con scadenza fino a 3 anni in maniera illimitata nel mercato secondario, sotto una stretta condizionalità, e ciò è bastato a far scendere lo spread sotto i 350 punti, un risultato importante ma ancora distante da un tasso ragionevolmente sostenibile. Qualche giorno prima la Cancelliera Merkel aveva denunciato "la speculazione finanziaria", che è causa dei tanti mali che ci affliggono, dichiarando che i sacrifici, il lavoro e i risultati conseguenti, non possono e devono essere vanificati dai mercati. Giusto il tempo  di tirare un sospiro di sollievo ed ecco di nuovo in scena una delle agenzie di rating, "Moody's", che interveniva con i suoi giudizi negativi che vedono al ribasso la crescita, anche nei confronti di quei Paesi finora giudicati "sani e trainanti dell'Unione Europea: Germania, Francia, Regno Unito e Olanda, che insieme rappresentano circa il 45% delle entrate del budget europeo''.Di fatto lo spread dei titoli italiani, senza la speculazione viaggerebbe intorno ai 200 punti. Ma in Germania più di un giornale, in testa il conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung, spesso amplificatore alle opinioni della Bundesbank, fa appello alla Corte costituzionale tedesca, che si deve pronunciare mercoledì prossimo (12 settembre) sulla legittimità del fondo salva-Stati Esm, senza il quale anche le misure decise dalla Bce perderebbero efficacia. C'è da riflettere e nello stesso tempo dire a chiare lettere che finché non si interverrà in Europa con iniziative risolutive, saremo sempre in balia degli interessi della finanza speculativa e delle agenzie di rating, che ogni giorno muovono centinaia di miliardi solo e soltanto per speculare e non per incentivare la crescita economica e in balia degli egoismi teutoni.  Sono molteplici i suggerimenti che vengono da Persone autorevoli per risolvere questi problemi alla radice. Uno di essi è stato di recente "riproposto" dall'ex presidente Prodi e da  Alberto Quadrio Curzio  e riguarda l'emissione degli Euro Union Bond.
Ma c'erano altre soluzioni valide e non alternative a queste, semmai integrative, e una di esse è: “l'European redemption fund” di cui nessuno più parla. E’ una polpetta avvelenata da far mandare giù ai Paesi indisciplinati o uno strumento di vera redenzione dal debito pubblico?

Lo scorso 13 Giugno il Parlamento europeo ha approvato il “two-pack“ il provvedimento per il rafforzamento della governance UE. L’Assemblea riunita a Strasburgo ha adattato entrambe le relazioni in cui era diviso il testo. La prima relazione (relazione Gauze’s) e’ stata approvata con 471 voti a favore, 97 contrari e 78 astensioni, la seconda relazione (relazione Ferreira) e’ stata approva con 501 voti a favore, 138 contrari e 36 astensioni.

Il parlamento UE ha detto ”si” alla creazione di un Fondo europeo di ”redenzione” (European redemption fund, ERF). In sintesi si tratta di un meccanismo che in 20-25 anni costringe gli Stati (compresa la Germania oggi all’80%) a tornare entro il 60% del rapporto debito/PIL, che ricordo è uno dei cinque parametri di convergenza del trattato di Maastricht, il secondo è il 3% del rapporto deficit/PIL.

Tale teorizzazione è stata sostenuta in primis lo scorso novembre dai cosiddetti Cinque Saggi del Consiglio Economico (massimo organo tedesco di consulenza macroeconomica e fiscale che gode, fra l’altro, anche della piena considerazione del Cancelliere Angela Merkel, ed è stata rilanciata recentemente dal partito socialdemocratico e dai verdi. Tale proposta non è troppo dissimile da quella fatta qualche tempo fa in Italia dal politico ed economista del PD, Vincenzo Visco.

L’European redemption fund  (ERF) farebbe confluire l’importo dei vari debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL in un apposito fondo; l’ERF verrebbe garantito dagli Stati nazionali membri attraverso i loro asset pubblici e da almeno una percentuale di tasse riscosse a livello nazionale. Tale fondo, poi, emetterebbe bonds europei caratterizzati da una rigorosa scadenza di 20, massimo 25 anni. In questo lasso di tempo, tutti gli Stati aderenti avrebbero, inoltre, l’obbligo di assettare il proprio rapporto debito/PIL al 60%. Ci troviamo di fronte, quindi, ad un fondo la cui esistenza è temporaneamente limitata e che comunque deve essere completamente rimborsato dagli Stati membri alla fine della sua durata. Da questa soluzione (che non implicherebbe la riformulazione dei Trattati esistenti o la scrittura di nuovi, ma che può essere concretizzata mediante semplici intese), Paesi come l’Italia dovrebbero ricevere il  vantaggio di pagare nel complesso interessi sul debito relativamente bassi, mentre Paesi come la Germania dovrebbero sopportare costi maggiori rispetto agli attuali per finanziare interamente il relativo debito.

Proprio al fine di compensare questo sbilanciamento, i Paesi finanziariamente ed economicamente più solidi pretenderebbero in cambio un rispetto vero e proprio degli impegni presi. L’Italia, ad esempio, sarebbe tenuta a perseguire scrupolosamente un percorso finanziario ben delineato al fine di portarla nei tempi stabiliti al 60% del rapporto debito/PIL, ed i miglioramenti in materia verrebbero annualmente ed accuratamente valutati. Se ci dovesse essere un allontanamento dalla “retta via” non è affatto esclusa, come extrema ratio, l’ipotesi di cacciata dal fondo, tutto questo perlomeno in teoria.

La proposta, formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, prevede di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL. L’ERF emetterebbe titoli (per complessivi 2.300 miliardi di euro, secondo i calcoli dello stesso Consiglio degli esperti economici) per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici, in particolare, riserve auree e di valuta estera dei Paesi assistiti. Gli Stati sarebbero dunque tenuti a rimborsare il fondo entro il periodo indicato 20-25 anni, durante il quale dovrebbero raggiungere (come già imposto peraltro dal Patto di stabilità e dal Fiscal compact) la soglia del 60% di debito/PIL, garantendo una gestione virtuosa dei conti pubblici ed evitando il rischio di azzardo morale.

Secondo i calcoli degli esperti economici tedeschi, l’Italia parteciperebbe al Fondo con una quota parti al 40% (la più alta tra i Paesi partecipanti), e per rimborsare il suo debito entro il termine stabilito (20-25 anni) dovrebbe produrre ogni anno, assumendo una crescita annua del PIL nominale pari al 3%, un avanzo primario pari al 4,2% del PIL.

Per l’Italia sarebbe meglio la nascita del "fondo di redenzione" che piace anche alla Germania e che suona più o meno così: il debito sopra il 60% del PIL verrebbe finanziato con l’emissione di titoli comuni, permettendo a Paesi come l’Italia di finanziarsi (almeno per la metà del suo debito) a tassi d’interessi bassi, con un forte risparmio. La BCE ha deciso di comprare i titoli di Stato italiani e spagnoli, quando lo "spread" sale oltre un certo ragionevole livello e la stessa OCSE, il 2 settembre scorso si augurava che ciò avvenisse, ma "dell'European redemption fund”, approvato dal parlamento europeo non c'è ufficialmente traccia e riscontro di nessun tipo nè nelle istituzioni europee, nè negli incontri recenti dei vari capi di Stato e di governo, nè sono citati nei prossimi programmi! E' necessario che l'Europa proceda con l'unione fiscale, bancaria e politica.

La riduzione del debito pubblico prescinde da tutti questi meccanismi e ammortizzatori e nella politica economica di questo governo deve rimanere prioritaria, ma finché non si torna a "crescere" essa rimarrà sola un "pio desiderio" e una "buona intenzione". Il Premier Monti chiama imprese e sindacati a fare la loro parte, ma il governo potrebbe nello stesso tempo prendere decisioni che vadano nella stessa direzione del lavoro; è necessaria una politica industriale che consenta il salvataggio di aziende come ALCOA e Sulcis; per fare partire la crescita occorre allentare "il patto di stabilità" per permettere ai Comuni virtuosi di investire in opere pubbliche; si potrebbe riproporre una patrimoniale, il taglio delle pensioni d'oro, accelerare i pagamenti ai fornitori da parte della Pubblica Amministrazione centrale e locale, costruendo anche, se necessario, un accordo di ampio respiro con tutto il sistema bancario; non è in ogni caso tollerabile che le imprese falliscano perché la P.A. non paga i debiti, ecc... ,  e tutto ciò per liberare risorse da reinvestire. Alcoa a Sulcis sono due casi che meritano un'analisi approfondita perchè operano in settori strategici come quelli delle materie prime, basilari per un Paese manifatturiero e di trasformazione come l'Italia e dell'energia. Sarebbe opportuno che lo Stato intervenisse per salvarle affidando, ad esempio a Finmeccanica, la loro gestione per renderle efficienti e competitive. Risolvendo il problema dei costi del "carbone pulito" si risolverebbe quello dei costi dell'energia per produrre alluminio (entrambi le aziende operano nello stesso territorio). Non possiamo ricordarci del "carbone pulito" solo quando la Gazprom per qualche motivo, ci chiude i rubinetti del gas, sale il prezzo del metano e del petrolio e/o scoppia la rivoluzione in uno dei Paesi delle sponde del Mediterraneo. Prendiamo d'esempio la storia della Pignone, salvata dalla lungimiranza del fu sindaco La Pira. Due casi emblematici che ci dicono quanto sia necessario in certe situazioni e per la crescita, tornare alle politiche Keynesiane!

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