La dottrina liberista del Premier Monti e le politiche liberiste

Il Premier ha ammesso che la sua azione di governo "ha contribuito ad aggravare la situazione economica dell'Italia". Vorrei aggiungere alla mia mail precedente, dove citavo questa frase, altre considerazioni, senza alcuna pretesa se non quella di denunciare, in aggiunta alle tante le voci più autorevoli della mia, la inadeguatezza, per non dire il danno che procura la politica liberista.

Parlando di Marchionne, il premier Monti aveva detto: “chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e per le sue localizzazioni le soluzioni più convenienti”. Così dicendo Mario Monti fa l'opposto di Obama, che invece ha fatto di tutto per salvare l’industria automobilistica americana e adesso la FED stampa moneta per 40 miliardi di dollari al mese per stimolare l'economia; (questo punto merita un approfondimento che farò in altra occasione). Mi chiedo cosa potrà ancora dire il premier Mario Monti, quando incontrerà Marchionne, senza contraddirsi.

Se potessi, ricorderei al premier Mario Monti (oggi a capo del governo), che la Costituzione italiana dice e prescrive: all'articolo 1, che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, all’articolo 2, l’adempimento degli “inderogabili doveri di solidarietà anche economica e sociale”; all’articolo 4 e all’articolo 35, il “diritto al lavoro”; all’articolo 41, che l’iniziativa economica privata è sì libera, ma che non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla libertà e alla dignità umana” e che la legge deve determinare “i programmi e i controlli perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Inoltre: la Dichiarazione di Filadelfia (1944) dell’Organizzazione internazionale del lavoro impone di non considerare mai il lavoro come una merce. Un vero liberale come William Beveridge scriveva, nel 1942, che “il mercato del lavoro dovrebbe essere sempre un mercato favorevole al venditore (al lavoratore) anziché al compratore (all’impresa/imprenditore)” e questo perché il lavoratore è sempre e comunque (solo i liberisti pensano il contrario) la parte debole del rapporto di lavoro e del mercato del lavoro, e questo, Beveridge lo scriveva appunto nel 1942, quando la crisi era drammaticamente pesante quanto quella di oggi.  (Beveridge è il padre del welfare State, che nel suo Social Insurance and Allied Services del 1942 aveva esposto la necessità che lo Stato garantisse ai propri cittadini un reddito minimo e che costituisse un servizio sanitario pubblico gratuito per tutti),

Questo è un governo squisitamente politico nel senso della piena continuità con le politiche neoliberiste che hanno prodotto questa grave crisi economica e di valori. Politico nel senso che persegue e prosegue, in nome del mercato e delle sue leggi, una politica neoliberista di riduzione dei diritti sociali del lavoro e dei lavoratori (diritti sociali che soli, possono garantire una cittadinanza de facto), affinché si indeboliscano anche quelli politici e civili (ovvero di cittadinanza) e si produca un’azione disciplinare nel lavoro e nella vita delle persone. Mentre nulla si fa, in Italia e in Europa, contro i mercati e la finanza responsabili della crisi; anzi l’Italia ha riammesso le vendite allo scoperto in borsa.

I diritti sono riconosciuti da Monti a Marchionne (diritti di fare e disfare a piacimento),   ma sono negati ai lavoratori che sono privati anche della loro dignità (articolo 18, ma anche per i lavoratori della Fiat cui viene negato il diritto di scegliere il sindacato che vogliono, ma su questo il premier Monti tace: evidentemente il diritto sociale e politico alla libertà sindacale deve passare in secondo piano rispetto alla libertà assoluta del mercato). Quindi, Mario Monti non è un liberale e non è un tecnico e dunque, è utile ricordarlo, tra liberali e liberisti c’è una grande differenza.

La controversia aveva coinvolto già Luigi Einaudi e Benedetto Croce, molto tempo fa. Croce sosteneva che il liberalismo appartenesse alla sfera morale e rappresentasse il luogo della libertà, mentre il liberismo apparteneva alla sfera economica ed era qualcosa di assai simile a un’ideologia. Einaudi sosteneva invece che la libertà economica fosse la condizione necessaria della libertà politica (sbagliando: la storia lo ha smentito più volte). Liberalismo dovrebbe significare la rivendicazione della libertà e soprattutto dell’autonomia dell’individuo. E’ un atteggiamento morale e intellettuale che richiede una libertà intesa come capacità di obbedire a norme razionali che nascono dall’uomo stesso (auto-nomia). Liberismo significa invece credere che la libertà dell’uomo sia solo o soprattutto quella economica, legata al profitto, cui l’uomo deve subordinarsi (etero-nomia).

Aggiornando la questione all’oggi, "liberale" dovrebbe essere chi si oppone a qualsiasi potere (compreso il mercato) che voglia comprimere la libertà dell’individuo, che voglia minarne l’autonomia assoggettandolo a leggi o a logiche ferree e quindi immodificabili (come le leggi, supposte appunto naturali e quindi immodificabili, del mercato); "liberista" è chi invece ritiene che l’individuo sia un pezzo di un ingranaggio più grande di lui, appunto il mercato, regolato da leggi fatte credere come naturali e da assecondare nel loro naturale svolgersi, regolando naturalmente le azioni e i comportamenti degli uomini; liberista è chi ritiene che anche i diritti possano-debbano diventare merce e che quindi si possa essere ingiustamente licenziati purché si abbia un sufficiente indennizzo; è chi crede che facilitando i licenziamenti si crei più occupazione, chi accusa i sindacati di difendere troppi privilegi ma nulla dice a proposito dello scandalo di quelle imprese italiane che da anni sfruttano la flessibilità del lavoro e creano perenne precarietà, per non innovare e per non investire in R&S (anche su questo, Monti tace), ma al solo fine di arricchirsi. 

L’Europa vive da troppi anni in una sorta di sconcertante "coazione a ripetere" neoliberista, dimenticata la sua economia sociale di mercato e il suo liberalismo  riformista, l’Europa non riesce a capire che il liberismo la sta uccidendo. E dunque propone ancora, ostinatamente: tagli alla spesa pubblica (quando servirebbero investimenti pubblici in infrastrutture e reti), licenziamenti (quando aumenta la disoccupazione), tagli alle pensioni (quando le pensioni già si impoveriscono), obbligo di andare in pensione più tardi (togliendo spazio ai giovani), riduzione delle tutele sociali e diffusione di ulteriore insicurezza (in un corpo sociale già indebolito e insicuro). Politiche insostenibili dal punto di vista sociale, ma coerenti con l’ideologia neoliberista, antisociale per ideologia.
È allora tempo, se proprio non si vuole dare ascolto e ragione alla sinistra radicale e ai no-global o agli Occupy Wall Steet che l'Italia e l’Europa tornino urgentemente almeno al liberalismo, per non dover morire d'inedia neoliberista. Dunque, ancora William Beveridge, autore del Piano che porta il suo nome, base dei sistemi sociali europei del dopoguerra. Scopo di una politica liberale, per Beveridge era quello di liberare la società dal bisogno. Per questo occorreva ampliare i diritti sociali (il neoliberismo li riduce), diritti sociali maggiori (non minori) soprattutto in tempi di crisi quale premessa per rafforzare le istituzioni democratiche (il neoliberismo invece le indebolisce in nome della supremazia del mercato, indebolendo la democrazia e la libertà e la tanto auspicata coesione sociale).

Le sue proposte liberali si basavano sul perseguimento della piena occupazione (il neoliberismo produce invece disoccupazione); su sistemi previdenziali e assicurativi pubblici (il neoliberismo li privatizza e li rende sempre meno universalistici); sulla re-distribuzione dei redditi (il neoliberismo ha prodotto il contrario, aumentando le disuguaglianze sociali ed economiche); su un accrescimento (e non sulla diminuzione) del ruolo dello Stato in economia; su una stabilizzazione dell’occupazione (il neoliberismo la precarizza e la destabilizza in nome della mobilità, della flessibilità e dando l’illusione di poter essere tutti creativi, mobili, imprenditori di se stessi). Possibile e sperabile uscire dal liberismo e tornare almeno al vecchio e saggio liberalismo alla Beveridge? Non ci basterà (non dovrà bastarci); e non basterà per uscire dalla crisi; ma sarebbe almeno un primo passo.

Certamente è necessario preoccuparsi dello "spread" e del debito pubblico perseguendo il rigore dei conti, ma non può essere l'unica ragione di vita di questo governo, Dobbiamo anche preoccuparci dei nostri consimili senza un lavoro, dei giovani senza un futuro e della base produttiva che si sta restringendo; dobbiamo pensare alla crescita, se vogliamo uscire da questa situazione di stallo o peggio ancora "d'avvitamento"; non c'è solo il caso FIAT, ci sono Alcoa, Sulcis, Irisbus e tanti altri. Non ci sono investimenti per innovazione e sviluppo e ad oggi manca una politica industriale; così assistiamo a uno smantellamento di settori "del made in Italy", tuttora necessari al "sistema Italia," che davano lavoro e  creavano ricchezza . E' tempo che il Premier Monti e quelli del governo che condividono la sua politica "ultraliberista", ripassino la storia con le sue esperienze del passato, tuttora valide e applicabili, e le dottrine economiche, inclusa quella keynesiana che, quando e dove applicata, ha portato  equità e sviluppo, ad oggi princìpi disattesi dal "Monti pensiero e dalle sue azioni". Non è forse la politica liberale e keynesiana quella di Obama per gli USA? Il premio Nobel Krugman, che denuncia questa politica errata e priva di prospettive, appartiene ai nostri tempi e non a decenni fa, (altri due premi Nobel dell'economia la pensano come lui), quando prese corpo per la prima volta la dottrina keynesiana. Ci sono circostanze in cui l'intervento dello Stato è indispensabile e ciò non implica necessariamente aumento del debito pubblico. Nella nostra situazione, le risorse che facciano da volano per rilanciare la crescita potrebbero essere quelle che si avrebbero con una "patrimoniale" sul quel 10% di cittadini che possiede il 50% della ricchezza di questo Paese; le spiegazioni date di recente da un ministro, (che secondo una leader sindacale parla di lavoro senza sapere cos'è), che la patrimoniale non è proponibile, non sta nè in cielo nè in terra; si potrebbero tagliare le pensioni d'oro (5-6000 euro netti al mese come tetto), ripresenti una legge e chieda la fiducia, come ha fatto decine di volte, che darebbe 7 miliardi l'anno di risparmi; si potrebbero tassare i capitali esportati illegalmente e depositati nelle banche svizzere, circa 200 miliardi di euro, che con una tassa del 41% come hanno fatto U.K., Germania e Austria, ci darebbero ben 82 miliardi di euro; potrei ancora continuare a ripetere queste cose fino alla noia perchè, come voi stessi potete costatare, non vengono fatte. Molto potrebbe fare anche l'Europa, decidendosi di applicare tutti insieme i 27 Paesi europei, la Tobin Tax, già approvata dal parlamento europeo, che nella peggiore delle ipotesi darebbe 200 miliardi di euro da investire in infrastrutture, ricerca e sviluppo. 

Il Premier Monti, confida nel dispiegarsi degli effetti delle riforme fatte finora e di quelle ancora in cantiere: il premier ha riconosciuto che "ancora non si vedono" i risultati concreti del risanamento e delle riforme, ma la convinzione è che in futuro queste scelte non potranno non avere effetto. Restano intanto i numeri negativi del DEF aggiornato: -2,4% nel 2012, -0,2% nel 2013. Ma per il Premier la stima del prossimo anno è dovuta appunto a "quello che "gli economisti" chiamiano, l'effetto di trascinamento". Perchè comunque, sempre secondo il Premier, "l'anno prossimo sarà un anno in ripresa, l'andamento dell'attività economica nel 2013 sarà un andamento crescente". Grazie appunto alle riforme e al risanamento dell'Italia, ma anche alla nuova governance della Ue, frutto però proprio della "influenza" che il governo ha potuto e saputo esercitare grazie alla credibilità guadagnata con i propri sforzi. Possiamo solo sperare che abbia ragione. Intanto dobbiamo mandare giù la pillola della recessione e se si continua con questa politica economica, nel breve termine non vivremo tempi migliori!

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