Il COMMISSARIAMENTO dell'ITALIA

Governo tecnico SI, governo tecnico “NO”? Chi chiamiamo al capezzale del letto dell’ammalato grave per mancanza di idee, ma soprattutto per disinteresse del bene comune e per la mancanza di etica pubblica? In Italia di fatto c'è già visto che in questa crisi, invece che dibattere e adottare con convinzione misure da tempo necessarie, l'attuale esecutivo ha lasciato che tali scelte venissero imposte da un "governo tecnico sopranazionale" europeo. Perdendo tempo prezioso che avrebbe attenuato l'impatto della crisi sul Paese, e dando dimostrazione di "scarsa dignità" proprio mentre occorrerebbe un pò di "patriottismo economico". E' Mario Monti, a commentare l'attuale, delicatissima, fase politica ed economica per l'Italia.

Io vedo un aspetto positivo in questa “necessità” che potrebbe diventare “virtù”, nel momento in cui tutti i Leader della zona euro, decidessero che è tempo di avere un ministro europeo dell’economia e delle finanza e questo sarebbe un importante primo passo per una maggiore integrazione europea.



" La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall'Europa. Il governo e la maggioranza - sottolinea Monti - dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York".



Pur vedendo "tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani e delle future generazioni" Monti vede "anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta quattro inconvenienti".



1) Scarsa dignità. Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di imprese italiane anche in settori non strategici.



2) Downgrading politico. Secondo Monti quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all'Europa.



3) Tempo perduto. Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è stata visibile manifestazione.



4) Crescita penalizzata. Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita, gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita; non sembra da una prima lettura delle misure approvate stasera con un decreto legge che ci siano iniziative per la crescita; anzi quel poco che c'era con gli incentivi sulle fonti energetiche rinnovabili, subito dei tagli del 30%, salvo un ripensamento durante la conversione in legge, nei prossimi 90 giorni.



Ma si deve andare oltre questa visione e smetterla con il regolare l’orologio della vita delle nazioni con le agenzie di rating, come la "Standard & Poor's "che aveva dato una tripla A a Lehman Brothers fallita solo dopo qualche settimana. E’ inaccettabile da qualsiasi punto di vista che una tale agenzia, con un enorme conflitto d’interessi, si schieri a favore di una parte politica dell’America, che è chiaramente quella repubblicana e cioè quella parte alla quale Bush, ha dispensato privilegi con la riduzione delle tasse, pur essendo la classe più ricca del Paese, ha sprecato risorse umane e finanziare, con la guerra all’Iraq, facendo aumentare il debito pubblico americano a dismisura. La stessa classe oggi rappresentata da quei deputati repubblicani che alla Camera, non vogliono accettare di avere ridotti questi privilegi pagando più tasse, mentre il presidente Obama e tutta l’America reclamano più equità e responsabilità.





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