La Salvezza dell'Italia passa ancora dall'Europa?

Abbiamo detto “NO” al nucleare risparmiando denaro e alle nuove generazioni pericoli insiti nelle centrali nucleari e nelle scorie. Oltre alla Germania, anche il Giappone sta per dire addio al nucleare e dopo il grave incidente di Fukushima questa è la decisione più saggia che il premier giapponese potesse prendere, a prescindere dal fatto che in questa decisione ci possano essere anche risvolti di natura politico-personale. Da noi è stato necessario un referendum e il popolo sovrano ha potuto dimostrare più responsabilità, maturità e saggezza di quanto non abbiamo saputo fare certi politici al governo del nostro Paese. Sia la Germania e sia il Giappone sapranno sfruttare questa grossa opportunità rilanciando non solo l’immagine politica dei loro leader ma anche l’economia dei loro Paesi, puntando sulle fonti energetiche rinnovabili. La manovra (solo finanziaria) confezionata in tutta fretta dall’ex commercialista di Sondrio, non ha previsto nulla di tutto questo per rilanciare l’economia, piuttosto ha penalizzato il settore energetico alternativo alle fonti tradizionali, riducendo gli incentivi, con una miopia fuori dal comune.

Nulla è previsto per stimolare la domanda interna, ma penalizzando i pensionati e aggravando i bilanci familiari di nuovi ticket sanitari e tagli ad alcune voci delle agevolazioni fiscali (asili nido, ristrutturazioni, spese universitarie, ecc.) per 20 miliardi di euro, hanno tolto ulteriore ossigeno all’economia del Paese. E’ possibile salvare insieme il lavoro, i diritti, l’ambiente, con un grande piano di riconversione ecologica, finanziato da una potente redistribuzione della ricchezza, uscire dalla logica della massificazione consumista ridando valore al sapere, alle produzioni, al lavoro, alle culture locali. Il 5% di tagli ai redditi superiori a 90 mila euro sono una grave e vergognosa ingiustizia sociale, perché chi ha un reddito di tale entità pagherà zero euro; il 5% è applicato solo sulla differenza in più.

Anziché dare ossigeno alle famiglie e alle imprese per rilanciare l’economia, per far cassa, si pensa anche a svendere i pochi gioielli di famiglia rimasti nelle mani dello Stato e cioè Enel, Eni, Finmeccanica che, per i settori in cui operano, hanno portato dividenti consistenti nelle casse dello Stato ed ora, così facendo, si finirebbe per favorire interessi privati, magari del solito giro.

Ma l’ossigeno alla società civile è incominciato a mancare da alcuni anni. Infatti esattamente dieci anni fa, fiduciose nel valore della partecipazione, centinaia di migliaia di persone e tanti giovani si preparavano a contestare pacificamente i potenti del mondo durante il G8 di Genova, ignari di dover incontrare e subire una grande umiliazione e tanta violenza, mai avvenuta in un Paese occidentale nel dopoguerra. Non immaginavano che per anni avrebbero dovuto chiedere verità e giustizia, giunte parzialmente dalle sedi giudiziarie e mai dall’ambito politico e istituzionale.

Quelle donne e quegli uomini, come quelli che l’anno dopo sono confluiti a Firenze, per il primo Forum Sociale Europeo, sapevano che la democrazia non prevede un governo del mondo sequestrato dai più ricchi. Intuivano che il mercato senza regole, mirato solo al massimo profitto era una minaccia per i diritti, per il lavoro, per la pace, la convivenza e per il pianeta – come già dimostravano tanti laboratori del sud del mondo dove le istituzioni finanziarie internazionali avevano imposto una modernità ricolma di barbarie.

Dieci anni dopo il G8 di Genova, la critica a questo modello si è estesa e allargata, anche fra i suoi fautori. Le resistenze e le buone pratiche delineano in tutto il mondo non solo la necessità, ma la possibilità reale di una alternativa credibile, necessaria ovunque e tanto più in Europa, dove la distruzione del modello sociale e la crisi democratica, unite ai mutati equilibri globali, rischiano di far fallire con esiti drammatici lo stesso progetto di integrazione europea, e allontanano sempre più i lavoratori e le giovani generazioni dalla partecipazione politica.

Il mondo è investito da una grave crisi globale su cui si agita lo spettro della catastrofe climatica. Questo modello di sviluppo non è in grado di garantire stabilità e neppure la sua stessa sostenibilità. La crisi finanziaria globale ha fatto deflagrare le contraddizioni di una crescita basata sulla disuguaglianza, sul profitto senza regole, sullo sfruttamento insostenibile di donne e uomini, delle risorse naturali, delle prospettive delle future generazioni. Mentre si è chiesto agli Stati di tornare a intervenire nell’economia e nuovi Paesi sono stati associati al tavolo dei potenti, cancellando di fatto il G8, non si intravede, nei ricorrenti summit internazionali, un’uscita dalla crisi che salvaguardi ed allarghi i diritti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, dei migranti, né costruisce istituzioni internazionali realmente democratiche e capaci di riflettere i diritti e la voce dei popoli.

La promessa dei cantori della globalizzazione neoliberista d’allargamento del benessere si è dimostrata un’illusione. L’assalto del mercato alla politica, alla democrazia, alla socialità, all’ambiente, ai beni comuni ha aumentato ovunque le ingiustizie sociali e le diseguaglianze. Ha distrutto diritti e garanzie sociali acquisiti in secoli di storia, in primo luogo la dignità del lavoro e dei lavoratori. Ha creato concorrenza spietata fra individui, società e nazioni generando conflitti orizzontali, guerre fra poveri, razzismo, degenerazioni ideologiche, impoverimento culturale, precarietà del lavoro e delle esistenze. In Italia si aggiunge a tutto ciò, la demagogia e il populismo dilagante da parte di alcune forze politiche e la perdita di quei valori di solidarietà e di etica della responsabilità che avevano fatto di questo Paese la quinta potenza industriale al mondo, oggi settima.

Un immediato investimento per il futuro può venire dalla ricerca e dalle fonti energetiche rinnovabili, che oltre a dare lavoro, combattono efficacemente, senza più emissioni, il riscaldamento globale e liberano risorse non più spese per importare perennemente petrolio, carbone, gas. ''all'articolo 40 del maxiemendamento presentato dal Governo alla manovra economica, tra i tagli agli sgravi fiscali del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014 sarebbero comprese anche le agevolazioni per l'efficienza energetica degli edifici'', che però ''non trova conferma per l'assenza di una tabella che illustri quali sono le voci che si taglieranno''.

La speranza è che queste norme siano cancellate o modificate; ancora meglio occorrerebbe una contromanovra (ma ci vorrebbe un altro governo) che restituisca potere d’acquisto alle famiglie dei bassi-medi ceti sociali, gli unici che posso stimolare con i loro consumi la domanda, pur lasciando inalterato l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici, anzi cercando di migliorarlo, perché il pareggio di bilancio entro il 2014 è solo il primo ma modestissimo passo; finché non si otterrà un avanzo primario che copra gli interessi che ogni anno si pagano, per il debito, questo continuerà a crescere; ci sarebbe un'altra soluzione che passerebbe dal governo delle regioni, intervenendo sulle aliquote dell'IRPEF regionale e/o con una tassa patrimoniale e/o altre misure a carico delle classi più abbienti.

In gioco non c’è solo l’avvenire dell’Italia, come nazione a se, ma anche quello dell’Italia in Europa. L’Italia per dimensioni economiche, (PIL), non è la Grecia o l’Irlanda o il Portogallo e neanche tutti e tre questi Paesi messi insieme. Un fallimento del nostro Paese non può, finanziariamente parlando, essere evitato con l’intervento e l’aiuto di altri Paesi della zona euro. Come ho scritto in passato dobbiamo cavarcela da soli perché un debito così elevato, ormai prossimo ai 1.900 miliardi di euro non può essere supportato da nessun altro Paese, neanche dalla Germania e dalla Francia insieme.

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