La crisi, il debito dei singoli Stati e la crescita

Al di là di qualsiasi considerazione di equità e giustizia sociale, che pure conta molto, anche dal puro punto di vista economico, le misure adottate finora in Italia vanno nella direzione giusta? Continua la diatriba sull'art.18, come se il licenziamento individuale per motivi economici, possa diventare il toccasana della crisi in cui versano molte aziende e intanto il debito pubblico ha raggiunto 1.935 miliardi di euro e le piccole imprese chiudono i battenti. Se, come qualcuno ha dichiarato, le PMI con meno di 15 dipendenti non assumono perchè, in caso di necessità non possono liberarsi di manodopera in eccesso, il problema si potrebbe risolve semplicemente alzando il numero di quella soglia, senza toccare quindi l'articolo 18; ma ci sono i fautori che vorremmo estendere lo statuto dei lavoratori anche a queste piccole realtà, cioè dove vige il rapporto interpersonale di stima e fiducia tra padrone e dipendente.

Con il governo Monti abbiamo fatto un passo indietro dal precipizio che incombe sempre dinnanzi a noi e la rivista "Time", gli ha, a ragione, dedicato la copertina col il titolo emblematico "Può quest'uomo salvare l'Europa?". Si proprio così, perchè salvare dal default l'Italia vuole anche dire salvare l'Europa.

Guardando ad Essa, la crisi del debito degli Stati dell’area euro ha messo a nudo in modo drammatico i difetti dell’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea. Il sistema di governance economica concepito a Maastricht non si è mostrato infatti adatto ad affrontare una crisi sistemica, qual è quella in cui ci troviamo, e il vuoto decisionale creato dall’assenza di un reale governo dell’Unione è stato riempito a fatica dal farraginoso metodo comunitario.

Inoltre, le evidenti divisioni interne di diversa natura e il costante prevalere di interessi nazionali ed elettorali sui sentimenti di solidarietà europea, hanno comportato un’eccessiva lentezza nell’adozione delle decisioni, che hanno dimostrato i loro limiti, a causa dell’aggravarsi della crisi. Questo modo di agire, reattivo piuttosto che fattivo, così come l’eccessivo concentrarsi, in un crescendo di isteria, dogmatismo ed editti, (l'ultimo di Monti: "se l'Italia non è pronta ad ingoiare altri rospi, lui si fa da parte") sulle misure di austerità e consolidamento delle finanze pubbliche, hanno accelerato il degradarsi della situazione, trasformando il problema di un Paese, il cui debito pubblico ammonta a circa il 3% del PIL dell’eurozona, la Grecia, in una pericolosa crisi che, potrebbe colpire in sequenza, dopo il Paese ellenico, il Portogallo e la Spagna per giungere fino a noi, Paese fondatore della Comunità europea ed una delle maggiori economie al mondo. Tanto che proprio in questi ultimi giorni è stato deciso di aumentare la disponibilità del cosiddetto fondo "Salva-Stati", che ha ricevuto il via libera dell'Eurogruppo. La sua capacità passerà infatti da 500 a 800 miliardi di euro.


Se si tratta di stabilizzare, ed eventualmente ridurre, il rapporto debito pubblico-PIL di un Paese non ci si può concentrare solo sul consolidamento delle finanze pubbliche. Anzi, focalizzando l’attenzione solo sulla riduzione del disavanzo pubblico, attraverso misure di austerità e tagli al bilancio, dall’inevitabile impatto depressivo (la recessione in Grecia causerà quest’anno una perdita di oltre il 5% del PIL), si cade in un pericoloso circolo vizioso, nel quale i tagli stabiliti in base a un determinato andamento economico peggiorano le prospettive di crescita futura (o aggravano la recessione), rendendo necessaria l’adozione di misure aggiuntive che peggiorano ulteriormente l’andamento dell’economia, e così via.

Se senza crescita economica le finanze pubbliche non si consolidano, il debito non si riduce e la crisi dell’euro non rientra, come sostenere lo sviluppo? È fin troppo evidente che lo stimolo all’economia non può arrivare solo dai singoli Paesi, alle prese con importanti problemi di bilancio. E' proprio per questo che si era fatta strada l’idea degli Eurobonds. Quella di emettere euro-obbligazioni per finanziare programmi europei di investimento pubblico non è in realtà una proposta nuova (ci aveva già pensato Delors nel 1993). La vera novità della ultime proposte, che trovano in Juncker (presidente dell'Eurogruppo), la massima espressione politica, è quella di attribuire all’emissione di Eurobonds la doppia funzione di stimolo alla crescita e di ristrutturazione dei debiti nazionali. Da un lato, trasferendo il debito pubblico nazionale dei Paesi in crisi a livello europeo si risolverebbe una volta per tutte il problema delle crisi di finanza pubblica dell’area euro. Dall’altro, finanziando un ampio programma europeo di investimenti pubblici in infrastrutture, ricerca e sviluppo e innovazione tecnologica, si sosterrebbe la crescita e favorirebbe la transizione verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile.

A questa soluzione si oppongono in modo decisivo la Merkel e gli altri fautori del consolidamento a oltranza che vedono come fumo negli occhi l’idea di risolvere la crisi del debito con la creazione di nuovo debito. In realtà, a livello di eurozona, il rapporto debito pubblico-PIL è inferiore all’80% e, in caso di robusta crescita economica, scenderebbe rapidamente sotto il limite generalmente accettato del 60%. Senza contare che l’indebitamento per la produzione di beni pubblici, dei cui benefici godrebbero anche le generazioni future, non va contro quel vincolo di solidarietà intergenerazionale che impone di far pagare i costi di un investimento pubblico a coloro che beneficeranno dei suoi effetti.

L’emissione di euro-obbligazioni non va vista però come il punto di arrivo. Rappresenta anzi, insieme all’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (osteggiata dal premier Cameron per difendere gli interessi della City) e/o sulle emissioni di CO2, il necessario punto di partenza per il completamento di quel processo di unificazione politica, passando per la creazione dell’Unione fiscale. E’ proprio questa prospettiva politica che permette di inquadrare il valore profondo di un’innovazione come gli Eurobonds, e questo spiega anche in quale ottica essa debba essere collocata per poter superare l’opposizione, in particolare, dei tedeschi.

Nel nuovo ordine mondiale che va delineandosi, i Paesi emergenti riassunti nell'acronimo "BRICS" (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), (questi Paesi, condividono una grande popolazione, Russia e Brasile oltre il centinaio di milioni di abitanti, Cina e India oltre il miliardo di abitanti ciascuno, un immenso territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, sono stati caratterizzati da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale), si offrono di sostenere l’economia europea comprando titoli di debito pubblico. Possiamo accettare il loro aiuto senza agire, condannandoci così all’inevitabile declino o l'Europa dei 27 potrà scegliere di fare scelte coraggiose e ridare un futuro a tutto il continente europeo, inclusi quei Paesi che oggi sono in lista d'attesa per farne parte.

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