l'art. 18, la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Ci sono tante cose buone ed essenziali in questa riforma sul mercato del lavoro. Da anni si aspettava che si correggessero le storture della riforma Biagi che ha alimentato le forme più impensabili e deleterie del precariato giovanile; ridurre il numero dei contratti da 46 a 8 è una semplificazione opportuna e necessaria, che eliminerà certi abusi e uno di essi è il ricorso alle false partite IVA, che sarà eliminato.

Infatti all’epoca della riforma Biagi, quella che introdusse le diverse tipologie di lavoro precario oggi largamente utilizzate, ciò che accadde, semplificando molto, fu che, constatata l’impossibilità di “flessibilizzare” anche minimamente il contratto tipico a tempo indeterminato, si scelse la via di provare a introdurre tipologie contrattuali “alternative”. Con il risultato, sommamente iniquo ma ormai nei fatti, che in Italia si sono creati due mercati del lavoro: uno per i dipendenti pubblici e di alcune imprese private, che godono ancora di tutele, l’altro per tutti gli altri, ossia soprattutto per i giovani.

Ma su temi delicatissimi quali il lavoro e i diritti dei lavoratori tra governo e parti sociali si sta consumando una commedia degli equivoci o meglio si sta usando un'arma di distrazione di massa. Questa trattativa è iniziata parlando dei giovani, riconoscendone l'insopportabile condizione di precarietà e la totale assenza di diritti che interessa le false partite Iva e le 46 forme contrattuali di assunzione a tempo. L'evoluzione della trattativa tra esecutivo e sindacati sta andando purtroppo nella direzione opposta.

Piuttosto si proponga di intervenire sui 4 milioni di giovani precari, coprendo i buchi contributivi e retributivi generati dalle continue interruzioni del rapporto di lavoro e si compia un atto di giustizia e generosità nei confronti dei giovani laureati, in cerca di lavoro, riscattando gratuitamente gli anni di studio legali, come si fa in qualche altro Paese europeo più povero del nostro ma più civile. Non si è mai parla di questo, ma, al contrario, si abolisce la mobilità, la cassa straordinaria per le aziende in grave difficoltà e poi quella in deroga per tutte le imprese che nel 2008 ne erano escluse.

Cominciamo quindi dalla proposta di sostituire alle diverse forme di tutela dalla disoccupazione oggi previste (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, mobilità, prepensionamenti, ecc.) un unico strumento (la sigla è Aspi, Assicurazione sociale per l’impiego), che tuteli tutti coloro i quali perdono il lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda di appartenenza. Sul piano dei principi e delle regole, una modalità di tutela universalistica (ossia che copre tutti gli aventi diritto, per il solo fatto di aver perso il lavoro), definita per legge (ossia in maniera impersonale, sicché ciascuno saprebbe in anticipo su che cosa può contare in caso di disoccupazione), dovrebbe essere preferita al regime attuale, in cui gli strumenti di sostegno al reddito si decidono caso per caso, ai diversi tavoli di crisi, nazionali o locali a seconda delle dimensioni dell’impresa e con variabile (“discrezionale”) generosità nei confronti degli individui coinvolti. Quindi si sostituiscono le regole precedenti (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, mobilità, prepensionamenti, ecc.) con una nuova assicurazione che coprirà una fascia sociale meno ampia rispetto a quella coperta con la cassa in deroga dal governo Lega-Berlusconi". I sessantenni espulsi dal mondo del lavoro, che devono aspettare nel prossimo futuro di compierne 67 anni per andare in pensione, dopo i 15 o 27 mesi come sopravvivono? Pagare 27 mensilità di buona uscita non è un costo del lavoro a carico delle piccole e medie imprese già alle prese con la crisi e molte di esse con l'acqua alla gola?

"Sull'articolo 18 si sta riversando il solito e pericoloso accanimento ideologico. Ricordiamo, infatti, che si tratta di una norma di civiltà che prevede il reintegro sul posto di lavoro per coloro che sono ingiustamente licenziati e che lavorano in aziende con più di 15 dipendenti. Stiamo parlando di circa cinquanta casi all'anno in tutta Italia. E' evidente, quindi, che non c'è un soldo da investire sui giovani e su un nuovo welfare veramente europeo e si preferisce colpire l'articolo 18, ben sapendo che anche se questo fosse modificato o abrogato, come vuole la destra estrema del Paese, non vi sarebbe nessuna crescita. Non è intaccando i diritti di chi lavora che si migliora l'economia italiana, ma combattendo corruzione ed evasione fiscale, riducendo drasticamente la burocrazia e garantendo finalmente l'accesso al credito alle piccole e medie imprese".

"Insomma, l'esecutivo rimanda ad epoca lontana i nuovi ammortizzatori sociali, dimentica la legge che ha abolito il reato di falso in bilancio, ma interviene da subito sull'art.18, trasformandolo in una specie di trofeo da mettere nella valigia del Premier che sta per partire e a sentire Lui, per poterlo offrire, durante il suo viaggio in Corea, Cina e Giappone, agli ipotetici investitori di quei Paesi.

Bonanni della CISL, sempre pronto nel recente passato a non contrariare ma a compiacere l'ex ministro Sacconi, non poteva venir meno alla sua devota tendenza a smarcarsi dalla CGIL e sfasciare l'unità sindacale, ma finalmente il presidente del Senato ha deciso di portare in aula, nella settimana prima di Pasqua, una mozione sull'art.18, che impegna il governo a non toccare un pilastro nella tutela dei lavoratori e anzi a favorire quanto più possibile l'estensione dell'applicazione delle garanzie anche alle categorie che attualmente non ne usufruiscono. Se ne sarebbe dovuto discutere prima, ma e' importante aver riaffermato la centralità del Parlamento nell'affrontare temi di tale importanza". In quella sede vedremo chi davvero ha a cuore la difesa dei diritti dei lavoratori e chi invece è disposto a fare da complice per smantellarli. L'art.18 non e' un freno ne' alla crescita ne' agli investimenti esteri.


Così com'è formulato oggi l'art. 18, riguarda casi singoli. Stabilire con l'ultimo comma del nuovo articolo, che si può licenziare per problemi economici dell'impresa, vuol dire aprire la strada alla totale discrezionalità e arbitrio di questa ed è un'offesa al buon senso e alla ragione; sono ben altre le cause della paralisi economica del Paese. "Senza l'art.18 non aumenterà la crescita, ma solo la disoccupazione, in particolare quella dei lavoratori cinquantenni"; stupisce che il premier giustifichi la decisione di scardinare l'articolo 18 con la necessità di far cadere un impedimento "vero o presunto" agli investimenti esteri in Italia. Dovrebbe ricordarsi invece che una delle cause è la mancanza di certezza dei risultati dell'azienda perché con l'abolizione del reato in falso in bilancio, non c'è alcuna garanzia della bontà delle poste di bilancio. Un tema così importante finora non è stato preso in considerazione, ma in cambio si comprime un diritto, in nome di una "presunzione". Se c'è anche solo un ragionevole dubbio che per le imprese straniere l'articolo 18 sia "un alibi" per non investire, allora le si convince con la forza dei numeri e i numeri, oggi, dicono che su 160 mila cause di lavoro pendenti solo 300/500 sono attivate ai sensi di quella norma, che dunque è un falso problema. Gli attori direttamente interessati ripetono come l'art.18 sia un falso problema, dalla stessa Confindustria agli investitori stranieri, alcuni dei quali intervistati hanno dichiarato candidamente che non sanno neanche cos'è quest'articolo. Lo sviluppo e i nuovi posti di lavoro si creano con gli investimenti e la ricerca e non con i licenziamenti individuali; la nuova frontiera sarà "l'economia della conoscenza". I lavoratori sono una delle risorse dell'azienda su cui investire e i pochi casi di licenziamento e reintegrazione legati all'art.18, si risolvono accelerando i tempi della giustizia, magari con corsie preferenziali, riservate a questi casi. Allora perché ostinarsi tanto e perché esasperare gli animi dei lavoratori che hanno già ingoiato il rospo della nuova legge sulle pensioni?

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