E' urgente tornare alle politiche Keynesiane!

Quando il premier Monti capirà che è necessario tornate alle politiche keynesiane, spero non sia troppo tardi. Nella mia ultima mail auspicavo che il Premier guardasse all'Università di Cambridge (U.K.) e dimenticasse quella di Yale, e ovviamente il mio riferimento neanche tanto velato era quello del ritorno alla politica Keynesiana. La devastante crisi che sta mettendo in ginocchio i mercati e le economie nazionali va combattuta con decisi interventi statali in quanto “abbiamo bisogno che i nostri governi spendano di più e non di meno. Quando la domanda privata è insufficiente, questa è l’unica soluzione. Assumere insegnanti, costruire infrastrutture, fare quello che fu fatto con la seconda guerra mondiale, possibilmente scegliendo spese utili”. A sostegno della mia tesi esposta più volte nelle mie precedenti mail, il conforto di una voce più autorevole della mia, è la ricetta formulata da Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008 e docente a Princeton, nel suo ultimo libro "Fuori da questa crisi, adesso!" e nei suoi numerosi interventi in giro per il mondo.
Negli ultimi tempi l’attenzione dell’economista statunitense si sta concentrando soprattutto sulla drammatica situazione dell’eurozona, che continua a boccheggiare senza che si riesca a trovare una cura adeguata. Nei suoi editoriali pubblicati sul New York Times, Krugman attacca frontalmente la linea dell’austerity imposta da Berlino. “Guardate cosa è accaduto in Irlanda, il più virtuoso nell’applicare tutte le richieste della Germania. Ha avuto una finta ripresa e poi è nuovamente sprofondata nella recessione. Paesi che hanno sostenuto con vigore la spesa pubblica, come Cina e Corea del Sud, sono invece riusciti a evitare la crisi”. Altre strade da percorrere sono quelle indicate dalla Svezia e dall’Islanda ( che non ha ancora l'euro) che “dopo la bancarotta ha deciso coraggiosamente di annullare tutti i propri debiti con le banche, negando i rimborsi e ripartendo con una svalutazione consistente”.
Per tornare a respirare, Krugman ritiene essenziale ricollocare lo stato sociale in cima all’agenda delle politiche economiche. “Bisogna innanzitutto cancellare l’effetto distruttivo dei tagli di spesa. In Europa è necessario ripristinare le prestazioni del welfare state che sono state ingiustamente tagliate”. Gli Stati devono quindi adottare interventi espansivi e incrementare le spese produttive. Secondo il docente di Princeton, una scelta di questo tipo permetterebbe di abbandonare le secche della crisi entro diciotto mesi. Le teorie a sostegno del rigore evidenziano come ci siano limiti di sostenibilità per il debito pubblico. Krugman afferma esattamente il contrario. Durante un periodo di crisi i lacci alla spesa determinano automaticamente un inasprimento della spirale recessiva, una diminuzione del gettito fiscale e quindi una diminuzione degli introiti per lo Stato. “In passato gli Stati Uniti ebbero un debito addirittura superiore a quello odierno, durante la seconda guerra mondiale. La Gran Bretagna per quasi un secolo. Il Giappone ha attualmente un debito elevatissimo in percentuale del suo PIL, eppure paga gli interessi dello 0,9 per cento sui buoni del Tesoro. Quindi non esiste soglia di insostenibilità come quelle che ci vengono propagandate” e imposte con il "fiscal compact".
Se la Germania proseguirà testardamente con la strategia sin qui applicata, Krugman prefigura una serie di passaggi legati tra loro da una sorta di effetto domino. La Grecia uscirà in breve tempo dall’euro, Spagna e Italia subiranno un’imponente fuga di capitali, le banche iberiche e italiane bloccheranno i conti correnti per arginare la fuga e fisseranno limiti ai prelievi quotidiani. A quel punto, soltanto un intervento della BCE salverebbe il sistema bancario continentale dal tracollo. Abbandonare l’austerità e ritornare alle politiche keynesiane. Per Krugman non c’è altra possibilità per evitare un corto circuito globale.
Il premier Monti, che dovrebbe conoscere questo approccio del premio Nobel dell'economia, ma che è reso cieco e sordo dall'ossessione della dottrina liberista, (che ha rovinato il mondo occidentale), non segue queste elementari regole e nonostante l'urgente necessità di reperire risorse, boccia l'idea di una patrimoniale che finalmente farebbe pagare qualcosa ai grandi patrimoni, perchè secondo lui sarebbe: "depressiva", dimenticandosi le elementari regole che stanno alla base della domanda e dell'offerta. Vorrei ricordargli che per chi dispone di capitali, la domanda è anelastica. In parole povere, se a un ricco si aumentano i prezzi e/o le tasse (dalle fra l'altro finora è stato risparmiato), lui continuerà a consumare come prima. Lo stesso non avviene per chi dispone di poco reddito e non arriva alla fine del mese. Per lui ogni variazione di prezzo o l'aumento della tassazione saranno un ulteriore freno al consumo e ciò fa scendere il PIL e aumentare il debito. Questa politica ha già impoverito milioni di famiglie e sta rovinando l'Italia e Lui dichiara di volerla salvare da "questa rovina" governando fino a fine legislatura. 
Van bene le tasse sui capitali all’estero, ma al 41% come hanno fatto U.K, Austria e Germania, (più oneroso per gli svizzeri è stato l'accordo siglato con gli Stati Uniti: l'amministrazione Obama che fa della lotta all'evasione fiscale uno dei cavalli di battaglia della prossima campagna per la Casa Bianca, minacciava di sanzionare l'attività delle banche elvetiche negli Usa se non ci fosse stata collaborazione nello scambio di informazioni sui conti off shore), e non 25% come stanno chiedendo loro e i capitali in Svizzera ammontano a più di 200 miliardi (indagine di Report dello scorso anno) e non 150 e va bene la riorganizzazione del sistema delle concessioni, più una ristrutturazione della gestione dei titoli di Stato. "NO" per fare scendere il debito pubblico, all'idea di vendere alcuni beni pubblici e le partecipazioni (ENI. ENEL, Finmeccanica), perchè queste ultime stanno alla base della garanzia del debito pubblico e generano "utili" che in parte significativa vanno a finire nel bilancio dello Stato; se si cedono queste partecipazioni ai privati, saranno loro a beneficiare di questi utili. Inoltre vendere gli immobili, sedi delle istituzioni, per poi prenderli in affitto, farà felici coloro che li acquisteranno e poi li riaffitteranno alle Stesse, gli stessi che comprerebbero questi immobili, cioè coloro che Monti continua a risparmiare da una tassazione sulla loro ricchezza patrimoniale.
Anziché far ripartire l'economia con degli investimenti che farebbero crescere il PIL e scendere il debito pubblico, ponendo fine al massacro del lavoro e alla vergognosa difesa della vera ricchezza, riconducendo il reperimento della copertura delle spese comuni indivisibili sui beni mobili, immobili, civili, commerciali, industriali, sul territorio, recuperando risorse con la lotta all'evasione e all'economia sommersa, cancellando dal bilancio l'acquisto di 101 caccia F35 (12 miliardi), ponendo un tetto alle pensione d'oro (sono circa 100.000) che darebbero qualcosa come circa 7 miliardi di risparmio l'anno, facendo pagare il dovuto ai capitali depositati illegalmente nelle banche svizzere, (41% su 200 miliardi, darebbero 82 mld. di tasse), eventualmente chiedendo alle autorità svizzere di bloccare i conti di coloro che vorrebbero sottrarsi alla tassazione trasferendo i capitali altrove, oppure chiedendo i loro nomi e i saldi dei loro conti,  "il premier Monti", che ha la possibilità di fare ricorso al voto di fiducia per fare passare questi provvedimenti (lo ha fatto per ben 34 volte),  avrebbe in programma di svendere i gioielli di Stato e fare altri tagli allo stato sociale, con il benestare di PDL e UDC.

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